Dopo gli annunci, le prime conferme. La riforma fiscale del governo Meloni ha come obiettivo la flat tax. E per coprirne i costi (altissimi) si useranno i tagli a Reddito di cittadinanza e Superbonus. E come era facile prevedere, mettendo mano e tagliando alle attuali detrazioni e deduzioni che nell’attuale sistema incidono quanto e forse di più delle aliquote, specie per le famiglie meno abbienti.

INSOMMA, LA DESTRA FA la destra: toglie ai poveri, al capitolo sociale e ambientale per regalare a ceto medio, imprese ed evasori fiscali. Tanto è vero che le prime simulazioni della Fondazione nazionale dei commercialisti prevede tra 700 e 1.150 euro in meno di tasse per chi ha un reddito intorno ai 50 mila euro.

La delega con cui il governo chiederà al parlamento il via libera per la riforma andrà in consiglio dei ministri la settimana prossima. Divisa in 4 parti e 21 articoli, la riforma mette mano a tutto il sistema, dai tributi agli accertamenti, dalla riscossione alle sanzioni. Un’unica defezione: quella riforma del catasto che consentirebbe di ridare un po’ di equità al sistema abitativo e che – sebbene richiesta dalla commissione Europea con annesse tensioni ai tempi di Draghi – il governo Meloni ha deciso di cancellare per far felice il suo elettorato.

In attesa di vedere nero su bianco il disegno di legge, i contenuti della riforma sono ormai definiti. Spiegati in un plico di 32 slide messe a punto dal Mef, sono stati illustrati dal viceministro Maurizio Leo – che inciampa nell’improvvido paragone con la riforma degli anni Settanta – nel suo intervento alla presentazione dei risultati annuali dell’Agenzia delle Entrate, mentre il ministro Giorgetti è intervenuto da remoto a ribadire l’obiettivo centrale: «Un graduale processo di riduzione del carico fiscale». Obiettivo figlio della vera pax fiscale fra FdI e Lega.

RISPETTO ALLE PRIME BOZZE il governo cerca di ovviare al chiaro rischio di incostituzionalità per la flat tax – la progressività fiscale è il caposaldo dell’articolo 53 – allargandone l’attuazione «incrementale» anche ai lavoratori dipendenti. In pratica, chi fa carriera avrà uno sconto fiscale, in pura visione meritocratica Valditariana.

In più usa l’arma del populismo fiscale annunciando l’azzeramento dell’Iva sui prodotti più comuni come pane, pasta e latte: una norma che avrà un’incidenza bassissima sulle tasche dei meno abbienti, mentre l’abolizione dei bolli è una proposta storica – e mai attuata – di Berlusconi fin dal 1994. Per il resto tutto confermato: riduzione degli scaglioni Irpef, revisione dell’Ires, la graduale abolizione dell’odiata Irap e l’accertamento semplificato.

L’ARTICOLO 5 DELLA BOZZA di riforma interviene sull’Irpef «nel breve periodo con la transizione a 3 scaglioni e aliquote più basse» ma «come obiettivo di legislatura» il governo indica la «flat tax per tutti». Non sono ancora state fissate le aliquote ma la novità più rilevante sarebbe quella di accorpare gli scaglioni centrali e prevedere uno schema con aliquota al 23% per i redditi fino a 15mila euro, al 27% per i redditi da 15mila a 50mila euro e 43% per redditi oltre i 50mila euro. Se così fosse, a guadagnarci sarebbero soprattutto i ceti medio alti, che ora fra i 28 e i 55 mila euro annui pagano un aliquota del 38%.

Arriva poi la nuova Ires sui redditi della società. Il governo prevede una nuova imposta a due aliquote: all’aliquota ordinaria del 24% viene infatti affiancata una ridotta per chi fa investimenti qualificati o genera nuova occupazione. Previsto inoltre il graduale superamento dell’Irap attraverso l’introduzione di una sovraimposta con base imponibile corrispondente a quella Ires, per garantire – vedremo come e quanto – i livelli di finanziamento della spesa sanitaria.

LA PARTE CHE INTERESSA di più al viceministro Leo e a FdI è sicuramente quella degli accertamenti fiscali che strizza l’occhio in modo visto a evasori ed elusori. La parola magica è «concordati preventivi». Invece che controlli, la nuova riforma prevede per le imprese una semplificazione dei rapporti delle aziende con il fisco. Per le più piccole si ricorrerebbe a un uso incrociato delle banche dati su fatturazioni e Iva. Sulla base di queste ecco i concordati preventivi. Unica misura che va incontro alle richieste sindacali è la l’equiparazione della no tax area per lavoratori dipendenti e pensionati, che oggi sfavorisce i pensionati.