Fitto in Ue, sale l’ipotesi di un ministro tecnico
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Fitto in Ue, sale l’ipotesi di un ministro tecnico

Manovra Venerdì il cdm formalizzerà l’indicazione per Bruxelles. E nel vertice tra Meloni e gli alleati andrà in scena il duello sull’autonomia
Pubblicato 2 mesi faEdizione del 28 agosto 2024

«Sono ricomparsa! Richiamate tutte le unità. Sono a palazzo Chigi»: per festeggiare il ritorno al lavoro Giorgia Meloni sfotte quanti la avevano presa di mira per non aver tempestivamente comunicato alla stampa la nuova residenza estiva. Nel breve video del ritorno la premier non dice praticamente altro ma si sforza di mostrarsi più che mai grintosa e ottimista, calcando anzi un po’ troppo la mano. Il senso del messaggio in fondo è quello: una replica a quanti parlano della sua «difficile estate». Non una parola su nessuno dei tanti dossier aperti. A quelli si passerà venerdì prossimo, giornata piena: prima riunione del consiglio dei ministri, a seguire il vertice di maggioranza anche se l’ordine dovrebbe essere invertito in extremis.

PER PRIMA COSA IL CDM formalizzerà l’indicazione di Raffaele Fitto come commissario europeo. È una formalità pur se necessaria. Molto meno formale il prosieguo, perché qualcosa sull’eredità del responsabile del Pnrr andrà pur detta. L’ipotesi regina è lo spacchettamento delle deleghe, un bottino che fa gola a molti, specie per quanto riguarda il capitolo sud sul quale avrebbe messo gli occhi il ministro Musumeci. Ma spacchettamento e accelerazione non vanno d’accordo e se per Fitto di accelerare non c’è bisogno dato che già si corre, il collega Giorgetti la pensa diversamente e a Bruxelles temono che sia lui ad aver ragione. Dunque cresce l’ipotesi di affidare l’intera gestione a un nuovo ministro, non politico ma «tecnico d’area» come potrebbe essere Cingolani.

IL PIATTO FORTE SARÀ la manovra ma senza cifre, dunque giocoforza tenendosi sulle generali. I punti fissi sono la conferma del taglio del cuneo fiscale, il bonus per le madri lavoratrici e la conferma della riduzione a tre delle aliquote Irpef. Non è un piatto ricco ma è quel che il governo si può permettere e anche solo per questo, con una spesa complessiva intorno ai 25-27 miliardi, Giorgetti dovrà ramazzare anche gli spicci. Ci andranno di mezzo le pensioni, con l’allungamento di 6 mesi almeno delle finestre per chi va in pensione dopo 42 anni e 10 mesi di contributi, le misure come Opzione Donna e Ape sociale e probabilmente anche l’assegno unico. Difficile quindi che venga accolta in tutto o in parte la valanga di richieste della Lega o di Fi: quota 41, ampliamento della Flat Tax a 100mila euro, spostamento dell’aliquota Irpef dai 35 ai 50mila euro. Su una richiesta, però, la premier e Giorgetti sarebbero invece disponibili: l’innalzamento delle pensioni minime invocato da Fi e che il partito azzurro ieri dava già praticamente per certo.

SI PARLA DI MANOVRA ma le manovre stavolta sono due. Entro il 20 settembre deve essere inviato a Bruxelles il Piano strutturale a medio termine, in concreto la tabella di marcia per rientrare nei parametri sul deficit. Dovrebbe essere presentato in cdm non in questa ma nella prossima riunione e poi essere discusso dalle camere. Di certo prevederà una correzione pari allo 0,5 e forse 0,6% del Pil ogni anno, per un esborso di 12 miliardi. Ma sarà solo l’avvio di una trattativa probabilmente lunga e certamente difficile. L’Italia chiederà di poter rientrare in 7 invece che in 4 anni. La Ue concederà la dilazione pretendendo contropartite pesanti in termini di quelle che a Bruxelles sono definite «riforme rilevanti» ma che in italiano corrente si chiamano «riforme strutturali» e di quelle dolorose, in particolare proprio sulle pensioni.

ANCHE IL VERTICE, stando a quanto Tajani e Salvini fanno filtrare, dovrebbe trattare solo la manovra. Però non sarà così, un po’ perché senza i conti alla mano non ci sarà molto da dire e un po’ perché ci sono tre questioni che non possono essere rinviate a chissà quando come lo Ius Scholae. Una riguarda il tormentone delle concessioni balneari, un’altra il nodo non differibile delle carceri, con in campo l’ipotesi del passaggio ai domiciliari in casa o in strutture apposite dei tossicodipendenti, che sono il 35% della popolazione carceraria. La questione più spinosa è l’autonomia, il vero obiettivo dell’offensiva estiva di Tajani, che vuole rinviare l’attribuzione alle regioni di tutte le materie a dopo l’approvazione dei Lep. Salvini, che ha bisogno di un risultato subito, non ne vuole sentir parlare e si tratta di un duello nel quale la mediatrice Meloni potrà fare ben poco: uno dei suoi due alleati uscirà sconfitto e furioso.

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