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Fiorisce la convergenza dei movimenti

Fiorisce la convergenza dei movimentiActivists place thousands of protest placards in front of the Reichstag building, home of the german federal parliament, Bundestag, during a protest rally of the 'Fridays for Future' movement in Berlin, Germany, Friday, April 24, 2020. Youth groups are staging a long-planned global climate demonstration online Friday because of restrictions on public protests during the coronavirus pandemic. (AP Photo/Michael Sohn)

Clima, sciopero del 9 Fiorisce la convergenza dei movimenti

Pubblicato circa 4 anni faEdizione del 3 ottobre 2020

Sotto la cappa dell’orrido «distanziamento sociale» – nel mondo si chiama più propriamente confinamento fisico – qualosa di promettente fiorisce. Fryday for Future sta preparando il Climate Strike per il 9 ottobre per denunciare «l’interdipendenza del sistema economico» e i danni che arreca sull’ambiente e sulla salute.

Nel secondo Climate Meeting di Venezia è stato varato un Manifesto di intenti su dieci punti per creare uno «spazio politico comune» di elaborazione e di azione sulla giustizia climatica, l’uscita dal fossile, l’equa redistribuzione della ricchezza sociale, il riconoscimento dei diritti fondamentali. Il Forum sociale mondiale delle economie trasformative sta organizzando un mese di iniziative per avviare un processo di confluenza di esperienze e movimenti che praticano forme di economie alternative, locali, fuori dalla logica del profitto e del mercato e capaci di rispondere alla crisi economica seguita alla pandemia.

Da qualche tempo le associazioni e i gruppi impegnati sulla decrescita del sistema economico hanno elaborato un documento e proposto un «forum delle convergenze comunitarie».

La Rete dei beni comuni emergenti e degli usi civici si è riunita nei giorni scorsi a Mondeggi, «fattoria senza padroni», stringendo un rapporto tra decine di realtà che stanno concretamente restituendo alla funzione sociale immobili e proprietà in disuso. Da ultimo un gruppo numerosissimo di associazion haproposto un manifesto: «Uscire dall’economia del profitto, costruire la società della cura».

Dall’Arci ad Attac, dalla Casa delle donne di Milano al Controsservatorio Val di Susa, da Navdanya International alle Botteghe del mondo. Propongono una conversione ecologica, il diritto al reddito, la riforma del credito, una democrazia di prossimità, l’accoglienza e la solidarietà. Chiedono la condivisione delle vertenze e una mobilitazione comune. L’auspicio che accomuna tanti sforzi è la convergenza dei movimenti che operano in settori diversi. Un bisogno profondo, non tattico, che emerge dalle riflessioni maturate in questi anni sulle connessioni tra i sistemi socioeconomici e la loro dipendenza dalla biosfera.

L’insegnamento che viene dal surriscaldamento globale e dalla pandemia è evidente. Vi è la convinzione che la convergenza tra tante diverse esperienze nei più svariati campi della vita può riuscire solo se emergerà un’idea forte di nuove relazioni sociali agibili e desiderabili. Un sistema economico semplice, elementare, in cui tutte e tutti abbiano abbastanza per poter vivere bene, in pace con gli/le altri/e, in equilibrio con la natura. É davvero questa un’idea così romantica e utopica?

O, all’opposto, troppo rivoluzionaria? La sfida al decrepito sistema economico che sta acuendo le sofferenze umane e portando alla catastrofe planetaria potrebbe partire dal chiedere conto ai governi del mondo il rispetto di due semplici criteri. Primo, il rispetto della precondizione della preservazione della vita sul pianeta. Secondo, la condivisione solidale, equa e premurosa delle ricchezze che si possono produrre tramite una operazione sociale responsabile. In altre parole, bisognerebbe costringere i governi a prendere sul serio il paradigma della sostenibilità (intesa come rispetto invalicabile dei limiti naturali delle condizioni di rigenerazione dei cicli vitali) e a non impedire l’accesso ai beni fondamentali della vita (beni comuni) a nessun abitante della terra.

Che i movimenti chiamano «giustizia climatica e sociale». Un percorso non facile: entra in conflitto con le forme esistenti di relazioni di potere asimmetriche, oppressive e discriminatorie sul piano politico, sessista, classista, razzista, specista. La convergenza – è bene ricordarlo – non contempla confluenze, accentramenti, cartelli elettorali. Ma, come insegnano i movimenti femministi, intersezionalità, condivisione, contaminazioni e tanta empatia da sperimentare nelle pratiche comuni di resistenza e di costruzione di nuove forme di relazioni sociali.

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