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Ferrari, storia di un’ossessione

Ferrari, storia di un’ossessioneAdam Driver in una scena di «Ferrari» di Michael Mann

Venezia 80 Enzo visto da Michael Mann, una vita per le corse. In concorso il tormentato lavoro di Michael Mann, il progetto risale a più di vent’anni fa

Pubblicato circa un anno faEdizione del 1 settembre 2023

C’è un costante senso di sfida che attraversa i film di Michael Mann la cui tensione vibra nel movimento visivo, nei corpi, fra gli attriti emozionali, in una forma plastica duttile, persino «antica», allenata ai contrasti e agli scontri dai tempi del suo esordio, nel 1981 con Strade violente (Thief), protagonista James Caan, musica dei Tangerine Dream, che la critica adorò. Veniva da molti mestieri e da tantissima tv, non solo quel Miami Vice divenuto un punto fermo di riferimento – e che porterà poi su grande schermo. Erano i suoi universi maschili, storie di uomini che si confrontano col mondo, coi loro ruoli, con lo scopo delle proprie esistenze, da Will Graham in Manhunter a Nathaniel Poe nell’Ultimo dei Mohicani, Lowell Bergman e Jeffrey Wigand di Insider, Muhammad Alì, John Dillinger. Biografie che Mann cesella con cura nelle sue drammaturgie tra cieli e orizzonti deserti, colpi d’arma da fuoco, grattacieli e parole. Una «biografia» è anche quella di Ferrari – il suo nuovo film presentato in concorso che non è però il biopic di Enzo Ferrari – si basa sul romanzo biografico di Brock Yates con la sceneggiatura di Troy Kennedy Martin – quanto la narrazione della sua vita in una data precisa, il 1957, quanto le esperienze private e professionali dell’imprenditore, pilota, campione nato a Modena e cresciuto a Maranello, che la Fiat da ragazzo aveva rifiutato sono giunte a un nodo cruciale: la Ferrari va male, lui è quasi sul lastrico, le gare macinano le vite dei suoi piloti e distruggono le macchine, la stampa lo attacca, suo figlio è morto,la relazione con la moglie Laura (Penelope Cruz) è diventata quasi odio se non fosse che i due sono soci; quella con l’altra, Lina Lardi (Shallene Woodley) – che si capisce non essere stata la sola – è pure difficile perché gli chiede di dare il nome al figlio nato dal loro rapporto, Piero.

Adam Driver nei panni del fondatore della casa automobilistica

MA NELL’ITALIA del tempo ciò non era possibile. I suoi manager lo consigliano di trovare un socio, magari Agnelli, l’ avversario Maserati lo beffeggia, lui non vuole essere controllato e intanto tutto cambia in quell’Italia che si illude nel boom economico, dove sta arrivando la tv – che trasformerà anche lo sport – fra i sogni da rotocalco di star e miti, gli autografi dei piloti che sono fidanzati con le attrici come de Portego, la sua amatissima Linda Christian monopolizza i flash più delle «rosse col cavallino».

Eppure questa realtà italiana anche se Mann ha girato in Italia – con a diversi attori italiani tra cui il bravo Lino Musella e con il limite di una lingua italiana che risuona mentre tutti i personaggi parlano inglese – non è centrale: appare più come uno «sfondo», uno dei tanti frammenti che compongono l’insieme di un personaggio sfuggente, che dalla realtà sembra quasi scisso. Alto, dinoccolato, un po’ cinico e molto patriarcale, il Ferrari visto da Mann (a cui dà vita Adam Driver) ci viene mostrato quasi nella stessa corazza di cui si diceva si fosse armato per non soffrire dopo la morte in gara dei suoi amici. La sua sfida è la passione per le quattro ruote che lo accompagna da una vita, e la ricerca di un equilibrio in questo, anche nelle catastrofi. È qui che Mann cerca (e non senza fatica) la sua storia, muovendo quei dettagli biografici per renderli altro:. velocità rombante e pretese dure di vittoria, che Ferrari condivide coi suoi piloti, benzina, sudore, calcolo, paranoia, e l’imprevisto che si fa tragedia.

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DEVE VINCERE ma in quella Mille Miglia che doveva essere la sua salvezza, la macchina rossa splendente guidata da de Portego all’improvviso impazzisce: un ostacolo sulla strada a Guidizzolo, la ruota si si squarcia, la macchina vola, e uccide nove persone tra il pubblico festante accalcato al bordo della strada per vedere passare la corsa. Un altro pilota Ferrari vince ma la vittoria è lutto e lacrime e accuse, Ferrrari finisce indagato in una nuova tragedia di un anno maledetto.

MA SONO questi chiaroscuri che Mann sembra prediligere, non una mitologia né costruire una specie di eroe piuttosto indagare una passione sui bordi di confini, di interni ed esterni, la casa scura famigliare e quella «clandestina» isolata, i riti di una personalità pubblica temuta e forse detestata di cui mantiene sempre qualcosa di inafferrabile. Ciò che è raffreddato nel suo personaggio, anche visivamente, si accende invece nelle corse: la macchina che vibra, che sfugge al controllo – : le scene notturne all’inizio della Mille Miglia sono molto belle come il modo in cui visivamente vengono accarezzate le macchine con la loro seduzione. Un melodramma – l’opera è passione di Ferrari – che sembra orchestrare questo vissuto atto dopo atto in cerca di un qualche riscatto o di una via possibile di fuga – quella che gli viene dalla moglie figura tragica e fortissima; ci sono forse passaggi mancanti ma in fondo questa distanza quasi trasognata è anche la sua forza. Il racconto di un’ossessione che porta in sé il suo mistero, le sue contraddizioni, il tempo di un secolo.

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