Federica Laudisa, ricercatrice dell’Ires Piemonte, è tra le maggiori studiose di diritto allo studio in Italia. Il governo Meloni ritiene di costruire in tre anni, entro il 2026, complessivamente 60 mila alloggi per studenti attraverso il «Piano nazionale di ripresa e resilienza» (Pnrr). Ci riuscirà?

È quasi impossibile. L’esperienza ci dice che, in circa 20 anni, sono stati realizzati 16 mila nuovi posti letto, grazie soprattutto alla legge 338 sul cofinanziamento statale per la costruzione di residenze universitarie, varata nel 2000 ma di fatto entrata in funzione nel 2005. Creare in tre anni una quota di posti letto quattro volte superiori non può essere ritenuto credibile. Il bando emanato a valere su 300 milioni del PNRR, ha finito per finanziare anche posti alloggio già esistenti: come poteva essere altrimenti, come si poteva riuscire a creare 7.500 posti letto in 4 mesi?

Federica Laudisa (Ires Piemonte)
Federica Laudisa (Ires Piemonte)

Molti, a cominciare dai sindaci, chiedono di riaprire le caserme…

È un’ipotesi che sento da vent’anni. Per farlo non occorre aspettare il Pnrr, può essere già fatto con la legge 338. In Piemonte, ad esempio, l’ex manicomio di Grugliasco sarà riconvertito in residenza universitaria. Il problema è che i tempi di realizzazione sono molto lunghi. E oggi c’è una grande emergenza legata al caro-affitti e alla mancanza di alloggi.

Gli studenti che protestano con le tende sostengono che i 660 milioni di euro previsti dal Pnrr, al momento bloccati da un pasticcio su un emendamento alla Camera, non risolvono i problemi degli affitti e   andranno ai privati. Sarà così?

Alla fine sì, se la norma non sarà cambiata. Manca una clausola per cui, ipotizzo, almeno il 60% dei posti siano concessi agli studenti borsisti fuorisede, a tariffe calmierate. Il problema è che non c’è una clausola che imponga agli operatori privati di assegnare posti agli studenti che appartengono a famiglie non avvantaggiate economicamente. Eppure nel Pnrr si dice che questa misura  ha lo scopo di favorire la mobilità “indipendentemente dal contesto socioeconomico di provenienza”. O saranno apportati correttivi , oppure non si comprende la ragione per cui il fondo è dato ai privati che già investono nel settore. Dovrebbero essere finanziati gli operatori privati  se il pubblico ne ha un vantaggio. Ma se non c’è un “ritorno pubblico”, non se ne comprendono le ragioni.

In Italia il 5% degli studenti universitari alloggia in una residenza universitaria. In Europa il  17%. Cosa significa questa situazione?

Che gli studenti non sono «mammoni», come qualcuno si ostina ancora a dire. La loro condizione dipende dall’impossibilità di uscire dal nucleo familiare, perché i posti alloggio a tariffa agevolata sono solo circa 40.000. Prendiamo la Francia,  ha 174mila posti alloggio nelle residenze e prevede un contributo affitto al quale accedono circa 800 mila studenti. E’ un sostegno mensile che abbatte il costo dell’affitto e va a borsisti e a non borsisti.

Per gli studenti che non riusciranno mai a entrare in una residenza, è possibile prevedere un tetto agli affitti? Oppure riconoscere un’agevolazione fiscale ai proprietari?

Ci sono diverse strade da praticare subito. Una è il contributo affitto come in Francia. L’idea del canone concordato andrebbe rivista perché non tutte le città hanno stipulato convenzioni con le associazioni degli inquilini. Queste informazioni vanno diffuse perché spesso non arrivano agli studenti, né ai proprietari di casa. Nelle città turistiche va regolato il mercato di Airbnb che ha determinato uno spostamento del mercato dagli affitti per gli studenti a quelli a breve termine. C’è poi la detrazione del 19% sulla dichiarazione dei redditi. Le famiglie ottengono un rimborso di massimo 500 euro dopo un anno. I soldi spesi dallo Stato potrebbero essere destinati al contributo affitto.

Una delle anomalie italiane è che non tutti gli aventi diritto beneficiano di una borsa di studio. A cosa è dovuto questo fenomeno?

È uno degli effetti della parcellizzazione del diritto allo studio. Ci sono due soggetti che finanziano le borse: lo Stato e le regioni. Nonostante ci sia stato un cambiamento nel sistema di finanziamento, lo stato non mette ancora tutta la sua parte mentre le regioni hanno l’obbligo di versare il 40%, al netto della quota introitata dalle tasse sul diritto allo studio. Negli ultimi anni si è determinato un paradosso. Nelle regioni in cui c’è un’agenzia unica, come il Piemonte o la Campania, la copertura è stata del 100%. In quelle in cui ci sono più enti per il diritto allo studio – Abruzzo, Calabria, Lombardia, Sicilia e Veneto – si creano gli “idonei senza borsa”.

In che modo andrebbe riformato un sistema in cui   ci sono decine di bandi mentre in Francia e in Germania solo uno?

Andrebbe fatto un unico bando in Italia. O piuttosto si potrebbe creare un unico punto di accesso al diritto allo studio, per fare domanda di borsa da una stessa piattaforma (come per le iscrizioni nelle scuole); dovrebbero essere semplificate al massimo le informazioni : una pagina web in cui siano specificati i criteri di accesso e l’importo della borsa previsti in ogni Regione. In Italia i bandi spesso sono di 40 pagine e sono di difficile comprensione.

L’accesso all’università è una questione di classe. Cosa ne pensa di un esonero generalizzato delle tasse universitarie?

Nel 2017 è stata introdotta una misura rivoluzionaria che però è passata sotto silenzio. E’ la «no tax area», ora a 22 mila di isee. Il Politecnico di Torino l’ha messa a 25 mila, l’Università del Piemonte orientale a 30 mila. Lo stesso è avvenuto in altri atenei. Si potrebbe elevarla a 35 mila per coprire anche una parte della classe media. Va pure detto che uno studente non sceglie l’università solo per le tasse, ma per un complesso di ragioni. Bisogna far comprendere il vantaggio di avere un’istruzione universitaria.

Per ottenere un diritto allo studio quanto a lungo dovranno restare in tenda?

Difficile rispondere. Se si comprendesse che sostenere gli studenti, sostenere l’istruzione universitaria è interesse di tutti, allora potrebbero essere smobilitate subito. Un paese povero culturalmente non ha futuro.