Cultura

Fabrizio Pesando, una vita condotta con rigore scientifico

Fabrizio Pesando, una vita condotta con rigore scientificoFabrizio Pesando – Foto di Reiner Freese

Addii La scomparsa dell'archeologo che aveva studiato l'edilizia privata di Pompei, Alba Fucens e negli ultimi anni aveva intrapreso ricerche nel territorio marchigiano

Pubblicato circa un anno faEdizione del 13 agosto 2023

Venerdì è scomparso all’età di 65 anni Fabrizio Pesando, professore ordinario di Archeologia classica presso l’Università degli Studi di Napoli L’Orientale. Se n’è andato in punta di piedi e non poteva essere altrimenti, visto che la sua attività mai fu caratterizzata dalle goffe e spesso arroganti posture mediatiche degli archeologi del III millennio, più interessati al consenso popolare (e politico) che ai risultati della ricerca.

SPECIALISTA di Archeologia della Magna Grecia, Topografia dell’Italia antica e Antichità vesuviane – tutte discipline che, come ricordano i suoi studenti, aveva insegnato con passione ed entusiasmo –, Pesando aveva condotto anche numerose indagini sul campo: Pompei (regio VI, regio IX e regio I), Alba Fucens (via del miliario e assi viari secondari), Sperlonga (villa di Tiberio), Aveia (abitato antico e fortificazioni), San Demetrio ne’ Vestini (fortificazioni) e Paestum (isolato 4-6). Le sue ultime energie le aveva spese nella regione in cui di recente aveva scelto di abitare, le Marche, e dove aveva diretto gli scavi dell’antico municipio romano (poi divenuto colonia) di Cupra Marittima.

IN QUEL LEMBO DI TERRA del Piceno non lontano dal mare, Pesando aveva riportato alla luce – con un’équipe dell’Orientale e in collaborazione con la soprintendenza e con il comune che gestisce l’area archeologica – le decorazioni in III stile pompeiano del tempio costruito nel I secolo d.C., ridotte in mille pezzi e riutilizzate come base del pavimento nella successiva ristrutturazione (probabilmente di età adrianea) dell’edificio sacro.
Le immagini dei frammenti pittorici delle pareti della cella – una rarità finora riscontrata nel Tempio della Bona Dea a Ostia, nel criptoportico del santuario di Urbis Salvia, sempre nelle Marche, e nel tempio di Nora in Sardegna – la scorsa estate avevano suscitato un certo richiamo sui media per i colori vividi e le raffigurazioni di fiori e candelabri. Qualcuno parlò allora impropriamente di sensazionalismo e Pesando, che non era avvezzo ai social network, intervenne dall’account Facebook di un amico per difendere con fermezza il valore di quella scoperta, che metteva in evidenza le cromie e gli stessi disegni delle case pompeiane. D’altra parte, all’edilizia privata di Pompei è dedicata una delle pubblicazioni più note dell’archeologo che ha dato un contributo fondamentale per la conoscenza della città vesuviana, sfiorandone persino la direzione.

MENTRE RIMPIANGIAMO le storie che non ha potuto scrivere, vogliamo ricordare Pesando per quelle che ha raccontato al manifesto, dalla grotta di Sperlonga a Pompei, il sito ormai divenuto una «fabbrica» di (finte) scoperte straordinarie che lo studioso di origini piemontesi ma dalla solarità mediterranea amava invece esplorare con rigore scientifico e senza clamori, e con la consapevolezza e la convinzione che se è impossibile riuscire a conservare l’insieme dei monumenti distrutti dall’eruzione del Vesuvio del 79 d.C. rinvenuti sotto agli strati di lapillo sin da fine Settecento, gli archeologi hanno il dovere di documentare, studiare e trasmettere ai posteri i contesti archeologici.

 

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