Cultura

Un orto ornamentale dal sapore omerico

Un orto ornamentale dal sapore omericoLa nave di Ulisse e Scilla

Archeologia La campagna di scavi e le immersioni nel tratto di costa laziale aggiungono elementi per assegnare agli insediamenti produttivi della zona un nodo dell’economia romana

Pubblicato più di 9 anni faEdizione del 5 maggio 2015

Ci sono luoghi del passato – le cui rovine perseverano nella bellezza del presente – che hanno il potere di rivivere nella nostra immaginazione, con l’illusoria certezza che ciò che oggi vediamo era e sarà per sempre come qualcuno l’ha svelato. Ma l’Archeologia è anche la scienza del «risveglio», talvolta ci toglie una storia per raccontarcene un’altra. Così, dopo aver creduto per decenni che la Villa di Tiberio a Sperlonga – circa cento chilometri a sud di Roma – fosse provvista di un triclinio acquatico, dal quale si godeva una superba visuale a metà tra natura e artificio scenico – dobbiamo ora prestare ascolto a nuove scoperte. Dal 2013 un’équipe di archeologi subacquei e «terrestri» dell’Università L’Orientale di Napoli esegue, sotto la direzione di Fabrizio Pesando, ricognizioni lungo i litorali di Lazio e Campania. L’obiettivo è studiare in maniera analitica le ville marittime di età tardo-repubblicana e imperiale, che rischiano di diventare terra o mare di nessuno. Per la prima volta dalla loro scoperta, avvenuta nel 1957, le strutture della Villa di Tiberio – semisommerse a causa dell’abbassamento della linea di costa e annesse a una grotta nella quale, già nel 1953, furono rinvenuti i frammenti di quattro gruppi scultorei di età ellenistica – sono state documentate attraverso minuziosi rilievi.

La successiva elaborazione dei dati ha portato a escludere che l’isolotto centrale della villa – il cui fulcro era un ambiente a forma di Pi greco prospiciente la spelonca e privo di pavimentazione – fosse un triclinio per spettacolari cenationes. Neppure si tratterebbe di un oecus corinthius, fastoso salone di ricevimento cinto da colonne, in quanto i presunti rocchi in laterizio situati nel perimetro murario altro non sarebbero che anfore tardo-repubblicane (19 in origine, ne sono state individuate nove ancora in situ), inserite in verticale nel terreno melmoso a distanze regolari e utilizzate verosimilmente per la coltivazione di piante di tipo lacustre o palustre come il papiro.

Tutti elementi che fanno pensare piuttosto a un hortus conclusus, bacino ornamentale delimitato da staccionate, sul modello di quello conservatosi nella Villa di Livia a Prima Porta o illustrato da un affresco della Casa del Frutteto a Pompei. L’analisi dei fondali ha inoltre consentito di attribuire alle quattro piscine la funzione di pars fructuaria, ovvero produttiva, della villa. Più in particolare, il ritrovamento di colli d’anfora inseriti nello spessore dei muri in modo da formare un ricovero in cui gli animali si infilavano e raggomitolavano, ha dimostrato l’esistenza di una peschiera per l’allevamento delle murene, delizia culinaria di cui Apicio fornisce otto ricette. Anche Marziale, mezzo secolo dopo, ricorderà in un epigramma dedicato all’amico Apollinare di Formia il salto del pesce serpentiforme attratto dal magister.

sperlongaAccecamento_di_Polifemo

Viste le rievocazioni di episodi ispirati all’Iliade e all’Odissea che il figlio di Augusto aveva commissionato (o ereditato) quale decorazione scultorea della sua residenza estiva, ci si potrebbe addirittura attendere nella villa di Sperlonga un giardino rigurgitante di «botanica omerica». Tamerici e canneti dello Scamandro affioravano nello specchio d’acqua, sullo sfondo di una magnifica narrazione marmorea ad opera di Agesandro, Atenodoro e Polidoro, massimi rappresentanti della scuola di Rodi e autori dell’emozionante versione tragica del Laocoonte esposto ai Musei Vaticani. La «Pietà greca» con Menelao che sorregge il corpo nudo di Patroclo e il gruppo lacunoso che rappresenta il ratto del Palladio da parte di Odisseo e Diomede sono l’eco della Guerra di Troia a Sperlonga.

Ma il mare chiama soprattutto l’epica dell’Odissea, di cui nell’antro si levano come un’imponente onda di pietra la nave di Odisseo insidiata dal mostro Scilla e il gigante Polifemo nell’attimo dell’accecamento. Di quest’ultimo insieme, John Boardman dirà che «la testa di Odisseo, con la barba spumosa e le incolte ciocche di capelli lavorate a sottosquadro, possiede una furia eroica, dovuta anche agli occhi spalancati, difficile da dimenticare». La rivisitazione della Villa di Tiberio proseguirà con indagini mirate alle costruzioni identificate sulla battigia e al settore dell’affaccio sui pontili. Intanto, nel 2014, un’esplorazione al di sotto della Torre saracena – simbolo del borgo in provincia di Latina – ha permesso il riconoscimento di un elemento circolare in opera reticolata relativo a un faro. Forse uno di quei punti di osservazione menzionati dalle fonti antiche i cui fuochi si accesero simultaneamente tra il 17 e il 18 ottobre del 31 d.C., quando l’imperatore attendeva – dalla vetta di Capri – notizie sull’arresto di Seiano, temuto consigliere con ambizioni di rivolta.

Una nuova campagna di ricerche è attualmente in corso a Sperlonga, dove studenti e tecnici dell’Orientale possono contare non solo sulla collaborazione della Soprintendenza Archeologia Lazio e Etruria meridionale coordinata da Alfonsina Russo ma anche sull’appoggio del Comune (Assessorato all’Ambiente), dell’Associazione Albergatori – la quale mette a disposizione gli alloggi – e del diving locale che fornisce gratuitamente mezzi e strumenti per le immersioni. Una felice sinergia che, a dispetto della separazione tra enti territoriali e poli museali sancita dalla recente riforma dei Beni Culturali del ministro Franceschini, mostra come il futuro del nostro patrimonio vada riposto in un consapevole e fruttuoso consorzio di professionalità, risorse e idee.

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