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Fabio: «Aiutatemi a morire». La terza richiesta dalle Marche

Fabio: «Aiutatemi a morire». La terza richiesta dalle Marche

Eutanasia L’appello di un 46enne che da 18 anni giace immobile in un letto. Da mesi attende risposte

Pubblicato più di 2 anni faEdizione del 19 maggio 2022

Solo il volto, ancora giovane, di Fabio Ridolfi spunta dalle lenzuola bianche. Sembra un letto d’ospedale, con le sbarre laterali, quello nel quale giace, ma le pareti della camera parlano di lui, delle sue passioni: un vessillo della Roma, due sciarpe da ultrà appese in alto, la luce soffusa di una lampada gialla e rossa che illumina alcuni Dreamcatcher penzolanti sulla sua testa, chissà se bastano per tenere lontani i cattivi pensieri. Non può muovere nulla del suo corpo, solo gli occhi. Vispe, le sue pupille saltano da una lettera all’altra della tastiera del puntatore oculare montato davanti a sé. E scrive: «Gentile Stato italiano, da 18 anni sono ridotto così. Ogni giorno la mia condizione diventa sempre più insostenibile. Aiutami a morire».

FABIO RIDOLFI, 46 anni compiuti il 5 marzo scorso, è il terzo paziente marchigiano che in poco tempo si è rivolto all’Associazione Luca Coscioni (con la quale era in contatto, grazie a suo fratello Andrea, sin dai tempi di Piergiorgio Welby) per chiedere «informazioni sul testamento biologico e sulle possibilità di scelte di fine vita percorribili legalmente in Italia, in modo da terminare la propria vita senza soffrire», come riferisce la segretaria nazionale dell’associazione, l’avvocata Filomena Gallo, tramite la quale l’uomo – affetto da una patologia irreversibile – il 10 gennaio scorso ha «inoltrato una richiesta alla Asur Marche per poter accedere al suicidio assistito, come previsto dalla sentenza della Corte costituzionale n. 242/19 sul caso Cappato\Dj Fabo».

Ridolfi vive a Fermignano, in provincia di Pesaro, ed è appassionato di arte e musica. Ha frequentato la scuola d’arte ad Urbino e negli anni ’90 aveva messo su un gruppo musicale insieme agli amici e al fratello Andrea. Lavorava nell’edilizia fino al giorno in cui, alla fine di febbraio del 2004, a pochi giorni dal suo 28esimo compleanno, viene colto da un malore «che gli causa – riferisce l’associazione Coscioni – prima una perdita immediata dell’equilibrio, poi l’intorpidimento di tutto il lato sinistro del corpo.

Dopo qualche giorno in ospedale, arriva la diagnosi: tetraparesi da rottura dell’arteria basilare, una patologia irreversibile che lo costringe, ormai da 18 anni, immobilizzato a letto», malgrado tutti i tentativi possibili di cura. Da tempo Fabio pensa al suicidio assistito. Mesi fa contattò anche direttamente Marco Cappato per informarsi sulla possibilità di andare in Svizzera, ma, riferisce l’associazione Coscioni, «non vuole che la sua famiglia possa avere problemi legali di alcun tipo, a causa della sua scelta». Il tempo che passa «rafforza il suo convincimento e coinvolge tutta la sua famiglia nella sua decisione affinché possano aiutarlo a porre fine ai suoi giorni».

E COSÌ Fabio Ridolfi comincia l’iter già percorso da “Mario” e “Antonio”, nomi di fantasia per individuare gli altri due pazienti marchigiani che, supportati sempre dall’associazione Coscioni, hanno intrapreso una battaglia legale per poter ottenere in Italia l’aiuto al suicidio assistito (il primo riuscendoci solo dopo un estenuante braccio di ferro con l’assessore leghista alla Sanità regionale, Filippo Saltamartini, e dopo essere stato costretto a denunciare penalmente per «tortura» i vertici dell’Asur, e il secondo ancora in attesa del parere del Comitato etico territoriale).

«L’Asur Marche – riferisce ancora l’avvocata Gallo – ha attivato le verifiche previste dalla sentenza della Consulta e ha sottoposto Fabio a tutte le visite mediche del caso. Ma dal 15 marzo, quando la relazione medica è stata inviata al Comitato Etico, ancora non è arrivato nessun parere, né sulle sue condizioni né sulle modalità per poter procedere con suicidio medicalmente assistito».

SEMBRA UN TEMPO breve, ma per l’uomo che giace in quel letto è un’eternità. Ogni giorno di attesa è quasi un martirio, fisico e psichico. «Fabio chiede di porre fine alle sue sofferenze in modo indolore, con le modalità più veloci e rispettose della sua dignità. È un suo diritto, come stabilito dalla sentenza della Consulta nel caso di dj Fabo», dice Marco Cappato che dell’associazione Coscioni è tesoriere.

«FABIO ha fretta…», scrive con il suo puntatore oculare. Al Senato invece, dove giace dal 12 marzo il testo di legge licenziato dalla Camera che finalmente introduce anche in Italia la possibilità di ricorrere al suicidio assistito, non hanno alcuna fretta.

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