Evergrande non sarà un caso Lehman Brothers ma l’economia globale ora ha paura
Cina Si inceppa il motore della crescita mondiale, borse giù. Un quarto di tutto l’enorme debito di Evergrande è fatto di obbligazioni emesse all’estero
Cina Si inceppa il motore della crescita mondiale, borse giù. Un quarto di tutto l’enorme debito di Evergrande è fatto di obbligazioni emesse all’estero
La notizia che la società immobiliare cinese Evergrande, la seconda del paese, ha chiesto ad un tribunale di Manhattan di essere messa sotto procedura fallimentare, con protezione del suo patrimonio da eventuali assalti dei creditori, non è un fulmine a ciel sereno. Il colosso con sede a Shenzhen, nella provincia del Guangdong, è dal 2021 che prova a fare i conti con i propri debiti, lievitati fino alla stratosferica cifra di 340 miliardi di dollari. Un problema di «ristrutturazione» difficile, che da qui a settembre, senza interventi risolutivi, potrebbe degenerare in una crisi di insolvenza definitiva, al rischio di fallimenti a catena. Il contesto, d’altra parte, è quello di un paese alle prese con un deterioramento del settore immobiliare, quello che negli ultimi anni ha rappresentato fino al 30% del pil.
Una delle domande che invece circola con maggiore insistenza in queste ore è: quali effetti potrà avere il fallimento di Evergrande sui mercati e l’economia globale? La Cina, nonostante tutto, costituisce ancora oggi il motore della crescita mondiale. Lo confermano anche le recenti stime del Fondo Monetario, che, per il 2023, parlano di un pil che crescerebbe del 4,4%. Nondimeno, uno scoppio incontrollato della bolla immobiliare potrebbe incidere sulla performance economica del paese (Evergrande ha fatto massicci investimenti nel settore delle auto elettriche). E a risentirne sarebbe tutta l’economia mondiale, già fiaccata dalle tensioni geopolitiche legate alla guerra in Ucraina. Lo scenario peggiore. Anche per i paesi che, in un modo o nell’altro, hanno rapporti economici e commerciali di rilievo col Dragone, Italia compresa. Ci sono di mezzo la tenuta della domanda globale e la solidità delle catene globali del valore.
Parlare di una Lehman Brothers cinese, come ha fatto ieri il Wall Street Journal, è forse esagerato (il prezzo delle case è calato solo del 2,4%, rispetto ad agosto 2021). Tanto più che le autorità di Pechino, a cominciare dalla banca centrale (PBoC), hanno già annunciato un ampio sostegno al settore immobiliare, puntando su riqualificazione delle baraccopoli, edilizia a basso prezzo, concessione di crediti per il completamento delle abitazioni non finite. E sulla stabilizzazione dello yuan. L’obiettivo è di spegnere subito il focolaio e di dare ossigeno alla domanda interna, scongiurando una deflazione di lungo periodo.
Nel frattempo, com’era naturale, i mercati finanziari hanno fatto sentire il loro brusio. I timori sulla Cina e le aspettative sull’inflazione americana – si teme un altro rialzo dei tassi da parte della Fed – hanno tirato giù i listini sia in Europa che negli Usa, fino alle piazze asiatiche. Milano non ha fatto eccezione, cedendo, con recupero nel finale di seduta, lo 0,40%.
Vale la pena ricordare, peraltro, che un quarto del debito di Evergrande è costituito da obbligazioni emesse all’estero. Ma per l’Europa non dovrebbe essere un grosso problema. Già nel 2021, la presidente della Bce Lagarde rassicurava che «l’esposizione diretta sembra essere limitata», riferendosi a banche e società di investimento del Vecchio Continente. Un’esposizione, è bene sottolinearlo, che negli ultimi due anni è ulteriormente diminuita.
In attesa di capire cosa succederà alla China Evergrande, non si possono trascurare le tribolazioni della più grande società immobiliare cinese: la Country Garden. Gravata anch’essa da tanti debiti, lo scorso 6 agosto non è stata in grado di pagare cedole per 22,5 milioni di dollari. Un segnale preoccupante per gli investitori, ma soprattutto un’altra grana per la leadership di Pechino.
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