Esseks: «Così abbiamo fatto la rivoluzione lgbt negli States»
Stati Uniti/Italia Intervista a James Esseks, l’avvocato che ha ottenuto dalla Corte suprema americana il riconoscimento dei matrimoni egualitari. «Le adozioni? Possibili per tutti già prima della storica sentenza del giugno 2015 che ha reso libere le nozze gay. Inutile aspettare il coraggio dei politici, il movimento lgbt italiano si rivolga ai tribunali»
Stati Uniti/Italia Intervista a James Esseks, l’avvocato che ha ottenuto dalla Corte suprema americana il riconoscimento dei matrimoni egualitari. «Le adozioni? Possibili per tutti già prima della storica sentenza del giugno 2015 che ha reso libere le nozze gay. Inutile aspettare il coraggio dei politici, il movimento lgbt italiano si rivolga ai tribunali»
L’avvocato James Esseks, direttore del Programma «Lgbt & Hiv» della American Civil Liberties Union (Aclu), la più grande organizzazione americana nella lotta per i diritti civili, è colui che ha vinto davanti alla Corte suprema degli Stati uniti la battaglia per il matrimonio egualitario, ottenendo nel giugno 2015 la storica sentenza che ha garantito alle coppie dello stesso sesso il diritto di sposarsi in tutti gli Stati della federazione, con i medesimi diritti delle coppie di sesso diverso.
Ospite a Roma in questi giorni della Coalizione Italiana Libertà e Diritti civili presieduta da Patrizio Gonnella, Esseks trova molte assonanze tra il dibattito italiano sulla legge per le unioni civili e quello a cui ha assistito da quando, nel 2010, ha cominciato a coordinare tutte le iniziative dell’Aclu relative al contenzioso strategico, al lobbying sugli organi legislativi e politici e alle attività di advocacy e formazione. Molte tranne una: la questione figli. «Già da prima della sentenza sul matrimonio egualitario – spiega al manifesto – siamo riusciti ad ottenere che in tutti gli States, tranne il Mississippi, le persone omosessuali possano adottare bambini. Non c’è alcuna discriminazione legale: che siano coppie o single, di qualsiasi orientamento sessuale, decide il giudice caso per caso».
Iniziamo dalla vostra lunga battaglia per il riconoscimento del matrimonio gay: come è nata e come è stata pensata?
Il nostro principale obiettivo era scardinare gli stereotipi che sono alla base dell’omofobia e della disparità di trattamento, cambiare la percezione comune sulle persone lgbt e sulle relazioni omosessuali, troppo spesso pensate come relazioni basate sul sesso e non sull’amore, furtive, condotte nell’ombra, senza prospettiva di costruzione e senza alcun interesse per i bambini se non per pedofilia. Agli antipodi, ci sono invece gli stereotipi sul matrimonio che si vorrebbe basato sull’amore, destinato a durare nel tempo e fonte di affettività con parenti e amici. Per questo abbiamo scelto il matrimonio come campo di battaglia della nostra campagna, condotta in tutti gli Stati sia per via giudiziaria che politica. E abbiamo scelto una strategia basata su quattro pilastri: primo, partire dagli Stati più progressisti e sfruttare i successi per continuare l’iniziativa in quelli più conservatori; secondo, considerare le unioni civili e le domestic partnership passi intermedi comunque significativi per raggiungere l’obiettivo; terzo, la battaglia finale si sarebbe combattuta davanti alla Corte suprema ma per vincere – e questo è il quarto pilastro – avremmo dovuto creare il contesto giusto nell’opinione pubblica, nelle istituzioni e nelle aule dei tribunali statali e minori.
Passo dopo passo, avete risalito la china del pregiudizio. Come?
Nel 1996 solo il 28% degli americani era favorevole alla libertà di matrimonio, nel 2004 era il 30% e nel 2012 poco più del 50%. Il dibattito pubblico aperto sui media e nelle piazze dove si raccoglievano le adesioni alle leggi di iniziativa popolare aveva facilitato tante vittorie nei parlamenti dei singoli stati e nelle aule di giustizia. Ma abbiamo avuto anche molte sconfitte. Nel 2010 solo in 18 Stati le coppie omosessuali erano tutelate in qualche modo, in sei era possibile sposarsi. Fu allora che decidemmo di scegliere un paio di casi pilota da portare davanti alla Corte suprema. E la Corte ci diede ragione la prima volta nel 2013, decretando l’incostituzionalità di due norme che vietavano i diritti delle coppie omosex: una federale e l’altra contenuta nella Costituzione della California. Da allora la percezione comune cominciò a cambiare: nel giugno 2014 il matrimonio gay era legge in 19 Stati, e divennero 36 nell’ottobre 2014. Avvenne quindi il contrario di quello che avevamo previsto: la Corte ci ha aiutato a costruire il contesto in cui agire e non viceversa.
Nel giugno 2015 la Corte suprema dà ragione al suo cliente, James Obergefell, rigettando le motivazioni delle istituzioni dell’Ohio che non riconobbero il matrimonio contratto in un altro Stato. Con quali argomentazioni?
Voglio ricordare che Jim e John vivevano insieme in Ohio da molto tempo e decisero di sposarsi quando John si ammalò di una malattia degenerativa molto grave. In Ohio non era possibile, e allora con grandi sacrifici John venne trasportato nel Maryland dove si sposarono. Ma al ritorno, e quando John morì, Jim scoprì che il loro matrimonio non era riconosciuto. La Corte smontò tutti gli argomenti addotti dalla controparte: definì «illogiche e irrealistiche» le argomentazioni riguardo la supposta violazione dei diritti dei figli allevati da coppie dello stesso sesso. E giudicò «irrilevante» ogni argomento religioso nell’ambito del matrimonio civile. Anche perché esistono già norme a tutela di chi si rifiuta di celebrare per motivi religiosi. Dopo quella sentenza tutti i 50 Stati americani hanno riconosciuto il matrimonio egualitario.
A proposito di obiettori di coscienza, nel dicembre 2015 la Corte d’Appello di New York ha però condannato un’azienda che si era rifiutata di mettere a disposizione la propria struttura per un matrimonio gay.
Sì, è il mio studio che ha seguito quella causa. Era un’azienda di agriturismo dove solitamente si celebrano nozze che chiuse le porte alla coppia gay per «problemi di coscienza». La Corte disse che questo tipo di obiezione non è ammissibile nell’ambito del business: un’azienda che opera sul mercato deve essere aperta e disponibile per tutti.
Il tema del diritti lgbt è entrato nella campagna elettorale americana?
Non è un punto centrale nella campagna elettorale ma ci sono politici di destra che sfruttano l’argomento. Quelli seri non promettono di muoversi contro i matrimoni egualitari perché per farlo dovrebbero modificare la Costituzione, e invece battono il tasto sui diritti dei credenti sostenendo che sono loro le vere vittime delle nozze gay.
Lei ha incontrato anche la senatrice del Pd Monica Cirinnà, relatrice della legge sulle unioni civili. Che idea si è fatto del dibattito italiano?
Mi ricorda quelli ascoltati negli Usa: cosa vuol dire uguaglianza, il dilemma se le unioni civili saranno il trampolino di lancio o l’affossamento dei diritti lgbt, eccetera. Tutto, tranne la questione dei figli. Posso dire che anche qui come da noi raramente i politici hanno coraggio e che i punti di svolta raramente si trovano in Parlamento. Forse la scommessa per il movimento lgbt in Italia è di riuscire a cambiare l’opinione pubblica attraverso le sentenze dei tribunali, tentare di ottenere una pronuncia della Corte costituzionale anziché aspettare che a riconoscere i diritti di tutti sia il legislatore.
–> Read the English version of this interview at il manifesto global
I consigli di mema
Gli articoli dall'Archivio per approfondire questo argomento