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Esposito intercettato, la Consulta annulla il suo rinvio a giudizio

Esposito intercettato, la Consulta annulla il suo rinvio a giudizio

Giustizia La procura di Torino doveva chiedere l’autorizzazione al Senato. Il processo Bigliettopoli va avanti: 18 imputati per corruzione

Pubblicato 9 mesi faEdizione del 29 dicembre 2023

La procura di Torino non poteva intercettare Stefano Esposito senza l’autorizzazione del Senato. Neanche se il telefono sotto controllo non era il suo. Per questo motivo la Corte costituzionale ha annullato la richiesta di rinvio a giudizio nei suoi confronti per il caso Bigliettopoli, scandalo che riguardava proprio i rapporti tra l’ex parlamentare del Pd (è stato senatore dal 2013 al 2018) e l’organizzatore di concerti Giulio Muttoni, suo amico di vecchia data. Secondo gli investigatori, infatti, Esposito avrebbe sfruttato la sua posizione di potere per aiutare Muttoni, interdetto dalle prefetture di Torino e Milano a causa del suo coinvolgimento nell’inchiesta San Michele, un’operazione contro la ’ndrangheta fatta dai carabinieri nel 2014.

TRA IL 2015 e il 2018, attraverso il controllo dei dispositivi di Muttoni, Esposito (che peraltro utilizzava un cellulare intestato a una società dell’amico) è stato intercettato per 446 volte tra chiamate e messaggi e poi 113 di queste conversazioni sono state considerate rilevanti e, di conseguenza, sono finite agli atti dell’inchiesta. A portare la questione davanti ai giudici costituzionali è stato il Senato, che a larga maggioranza votò la proposta di conflitto d’attribuzione presentata dall’allora presidente Piero Grasso. E ieri è arrivata la sentenza: nessuna procura può intercettare nessun parlamentare senza l’autorizzazione delle Camere.

«NON SPETTAVA alle autorità giudiziarie che hanno sottoposto ad indagine e, successivamente, rinviato a giudizio Stefano Esposito – sostiene la Consulta -, disporre, effettuare e utilizzare intercettazioni rivolte nei confronti di un terzo imputato, ma in realtà univocamente preordinate ad accedere alla sfera di comunicazione del parlamentare, senza aver mai richiesto alcuna autorizzazione al Senato della Repubblica». Gli atti dell’indagine sarebbero stati inoltre acquisiti in maniera illegittima. Proseguono i giudici costituzionali: «È stata accertata l’illegittimità dell’acquisizione agli atti di indagine, in data 19 marzo 2018, dei messaggi WhatsApp, indirizzati a (o prevenienti da) Stefano Esposito allorquando egli ricopriva ancora il mandato parlamentare, estratti dalla copia forense delle comunicazioni contenute nel dispositivo di telefonia mobile di altro indagato: messaggi per i quali sarebbe stata necessaria una preventiva autorizzazione della Camera di appartenenza, costituendo essi corrispondenza, il cui sequestro nei confronti di un parlamentare è, appunto, condizionato alla previa autorizzazione».

LA PROCURA di Torino, dal canto suo, riteneva di non dover richiedere alcuna autorizzazione perché le intercettazioni avevano carattere «causale» e «indiretto»: non era il telefono di Esposito ad essere sotto controllo. La Corte, però, che almeno dal 2015 l’esponente del Pd era chiaramente coinvolto nelle indagini e dunque sarebbe stato necessario rivolgersi al Parlamento per ottenere un via libera. Dalla scorsa estate, peraltro, in seguito a un esposto presentato proprio da Esposito, sia il pm torinese Gianfranco Colace sia la gip Lucia Minutella (che aveva disposto il rinvio a giudizio del parlamentare) sono oggetto di un procedimento disciplinare perché accusati di «grave violazione di legge determinata da ignoranza o negligenza inescusabile».
«Mi hanno distrutto la vita violando leggi, Costituzione e tutto il possibile. Magra soddisfazione. Comunque grazie della tua vicinanza umana e politica», ha scritto su X Esposito rispondendo a un post del renziano Enrico Borghi, che gli manifestava la sua solidarietà.

IL PROCESSO Bigliettopoli – trasferito da Torino a Roma per motivi di competenza territoriale – intanto va avanti, gli imputati sono diciotto (tra cui lo stesso Esposito, che però a questo punto esce dal dibattimento) e l’accusa principale è di corruzione, dal momento che la turbativa d’asta è andata in prescrizione. L’enorme mole di intercettazioni accumulate negli anni è la spina dorsale del lavoro svolto dagli investigatori.

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