Cosenza, il calciatore Bergamini è stato assassinato: condannata l’ex fidanzata
Il processo Ci sono voluti 35 anni per ottenere una sentenza, un esito arrivato grazie all'ostinazione della famiglia. In base al processo di primo grado, Isabella Internò dovrà scontare 16 anni
Il processo Ci sono voluti 35 anni per ottenere una sentenza, un esito arrivato grazie all'ostinazione della famiglia. In base al processo di primo grado, Isabella Internò dovrà scontare 16 anni
Il calciatore ferrarese Denis Bergamini è stato assassinato. Ci sono voluti 35 anni per ottenere giustizia da un tribunale. La famiglia Bergamini, la tifoseria cosentina e la tribù del calcio globale erano già pervenute a questa verità. La corte d’Assise di Cosenza ha condannato a 16 anni di reclusione l’ex fidanzata, Isabella Internò, per omicidio in concorso con ignoti. Bergamini giocava in serie B, nel Cosenza Calcio, quando la sera del 18 novembre 1989 fu trovato cadavere sulla SS 106 jonica. Poche ore prima, era stato visto allontanarsi dai suoi compagni di squadra, insieme all’ex fidanzata Isabella. Fu lei che ai carabinieri giunti sul posto raccontò la versione del suicidio, apparsa subito poco credibile agli occhi di chi conosceva bene Denis, ma convincente per magistrati e inquirenti che all’epoca esaminarono il caso.
Nei primi anni Novanta, il processo per omicidio stradale colposo portò all’assoluzione del camionista Raffaele Pisano, che aveva dichiarato di aver involontariamente travolto Bergamini, «tuffatosi» sotto il suo automezzo. Negli anni successivi il padre del calciatore, Domizio, aveva sollecitato la riapertura del caso, consegnando alla questura di Cosenza le scarpe e l’orologio che il figlio aveva con sé al momento dell’incidente, intatti. Anche il corpo del ragazzo non presentava segni compatibili con l’investimento da parte di un camion e il conseguente trascinamento per decine di metri.
Nel 2011, su richiesta della famiglia, la procura di Castrovillari riaprì l’inchiesta, ma la archiviò nel 2015. I legali della famiglia Bergamini si opposero, il pm Eugenio Facciolla chiese e ottenne la riesumazione della salma, che fu disposta nel 2017. L’incidente probatorio illuminò le lacune delle indagini precedenti. «Il corpo corificato di Denis (la pelle del cadavere ridotta a cuoio, ndr) ha parlato» spiegò Donata Bergamini, sorella di Denis, che in tutti questi anni ha condotto una coraggiosissima battaglia personale per ottenere giustizia. Determinante fu l’impiego, in sede d’esame, della glicoforina, una proteina che segnala se le ferite e i traumi siano stati riportati quando il soggetto era ancora in vita o dopo il decesso. Nel caso di Denis, le lesioni all’addome risultarono negative, mentre gli ematomi presenti sul collo assunsero la colorazione rossa, quindi il soffocamento avvenne prima che il cadavere fosse investito dal camion. Il giovane calciatore morì dunque per «asfissia meccanica violenta».
Nel frattempo, il pm Facciolla è stato trasferito ad altra sede. La chiusura delle indagini è arrivata nel 2021 col rinvio a giudizio per l’ex fidanzata, accusata di omicidio. Il conseguente dibattimento ha fatto registrare momenti da cinema. In un’udienza il giudice ha ordinato la convocazione immediata del procuratore Ottavio Abbate che gestì la prima inchiesta. Secondo i difensori della parte lesa, nella camera mortuaria i periti si limitarono a una «fugace osservazione» del cadavere di Denis. Interrogato il medico che effettuò la prima perizia, il dottor Raimondi, ha messo in dubbio che fosse sua la firma apposta sul referto. Il supertestimone Francesco Forte ha dichiarato che quella sera si trovava a passare con la sua automobile e vide due persone che portavano via la ragazza, mentre il camionista gli avrebbe detto che il corpo era già per terra quando lui transitò.
Nel dibattimento è inoltre emerso che durante la prima autopsia il dottore Francesco Avato «ha lavorato al buio». Fu lui a parlare di «sormontamento» del corpo di Denis, ma non entrò nel merito se fosse vivo o morto nell’istante in cui lo travolse il camion. Pur sollevando dubbi, attribuì il decesso a uno schiacciamento del bacino. Determinanti, ai fini dell’accertamento dei fatti, la perizia dei carabinieri del Ris, l’incidente probatorio e alcune testimonianze, in particolare quella di Tiziana Rota, moglie del calciatore Maurizio Lucchetti, all’epoca compagno di squadra di Denis. Isabella Internò, in una conversazione, le avrebbe riferito: Denis «è un uomo morto; se non torna con me lo faccio ammazzare». Decisivo soprattutto il ruolo di Fabio Anselmo, avvocato della famiglia Bergamini. È stata sua l’idea di impiegare le nuove tecnologie investigative, come la glicoforina.
Il legale ha più volte segnalato le gravi responsabilità ed omissioni degli inquirenti che hanno lavorato al caso nelle primissime indagini e nelle fasi successive: «Forze dell’ordine e magistrati coinvolti. Una realtà che avevo visto solo in Tv». Bisognerà ora attendere qualche mese per il deposito delle motivazioni di una sentenza storica. Poi di nuovo tutto sarà messo in discussione. Ci vorranno ancora sei o sette anni per il verdetto definitivo che potrà essere emanato solo dalla suprema Corte di cassazione. Fondamentali saranno i procedimenti paralleli dai quali dovrebbero uscire i nomi degli assassini materiali. Bisogna dunque aspettarsi un Bergamini Ter, Quater e forse addirittura Quinquies. «Il popolo ha già condannato Isabella Internò», ha detto la difesa dell’imputata durante l’arringa, pochi giorni fa, sostenendo che l’ipotesi accusatoria si reggesse su un pregiudizio antimeridionale. È stata smentita. Un tribunale ha stabilito che Denis Bergamini non si è suicidato. È stato assassinato. L’onore e la mafia non c’entrano niente. Il talentuoso calciatore del Cosenza è stato vittima di un delitto «borghese».
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