E siamo a tre. Dopo aver accertato che l’ergastolo ostativo è incostituzionale, prevedendo però un primo rinvio nell’aprile del 2021 e un secondo nel maggio di quest’anno per dare tempo al legislatore di trovare «un punto di equilibrio» tra le esigenze della lotta alla mafia e il rispetto del principio della finalità rieducativa della pena e del divieto di trattamenti contrari al senso di umanità, la Corte costituzionale ha deciso ancora una volta, ieri sera in camera di consiglio, di non decidere.

La Corte ha colto al volo l’occasione offerta dal primo decreto legge del governo Meloni che – tra le altre cose – si è sostituito al parlamento per interpretare a suo modo le richieste dei giudici delle leggi, sostanzialmente confermando tutti i limiti per l’accesso ai benefici dei condannati all’ergastolo per reati gravi (mafia e terrorismo, ma non solo) che non collaborano con la giustizia. Anzi aggiungendone di nuovi.

Il percorso legislativo ha preso così una strada evidentemente lontana da quella che la Corte costituzionale aveva voluto indicare – sia pure nella timidezza della decisione – ormai 20 mesi fa. Che è poi quella tracciata dalla Corte europea dei diritti dell’uomo: non è legittimo e non corrisponde ai principi fondamentali prevedere la collaborazione come condizione tassativa per accedere ai benefici (come semilibertà, permessi premio, liberazione condizionale).

Era stata la Corte di Cassazione (giugno 2020) a sollevare la questione di legittimità costituzionale sull’articolo 4 bis dell’ordinamento penitenziario perché, appunto, esclude dall’accesso ai benefici gli ergastolani condannati per delitti gravi che non collaborano con la giustizia. E alla Corte di Cassazione dopo un tortuoso giro di anni – ma dopo aver accertato la «ragioni di incompatibilità con la Costituzione», come da ordinanza del 2021 – la Corte costituzionale restituisce gli atti, chiedendo di verificare «gli effetti della normativa sopravvenuta sulla rilevanza delle questioni sollevate». Normativa che, è bene ricordarlo, il governo ha introdotto per decreto, quindi in ragione di (presunte) cause di necessità e urgenza.

In realtà l’ultimatum della Consulta al parlamento era durato un anno e mezzo (prorogato) e le vecchie camere erano riuscite soltanto ad approvare in prima lettura, a Montecitorio, una legge di riforma. Lo stesso testo che Meloni e il ministro Nordio hanno trasferito nel decreto legge, malgrado allora Fratelli d’Italia non lo avesse votato (passò con il sì di Pd, M5S, Lega e Fi). Quel testo, ha riassunto ieri una nota della Corte in attesa del deposito dell’ordinanza, trasforma in effetti «da assoluta in relativa la presunzione di pericolosità che impedisce la concessione dei benefici».

Dunque anche gli ergastolani «ostativi» possono chiedere di essere ammessi ai benefici «sebbene – riconosce la Corte – in presenza di nuove, stringenti e concomitanti condizioni». Tra le quali quella di escludere il pericolo che il condannato possa in futuro riallacciare i rapporti con l’organizzazione criminale. Una probatio diabolica, scrivono i giuristi. Impossibile.