Di fronte alla complessità di un’istituzione come il carcere, al dolore delle storie recluse, a questioni che richiederebbero analisi piuttosto che sentenze, ci vorrebbe cautela. Quella cautela in poenam di cui ha scritto e parlato papa Francesco a proposito dell’uso della galera. Lo scorso lunedì è andata in onda una puntata di Report che trattava di regime 41 bis, di trame nere nelle carceri, di ergastolo ostativo e varie altre cose. Lo spettatore ignaro dei fatti, del diritto, della storia penitenziaria e criminale del paese ne esce sconvolto: sembra, ripeto sembra, a seguito di una ricostruzione palesemente allusiva, che i giudici della Corte di Strasburgo sui diritti umani, i professori di svariate università italiane, i magistrati di sorveglianza (questi ultimi in quanto incompetenti), la ex ministra della Giustizia Marta Cartabia, siano tutti più o meno manovrati, taluni inconsapevolmente, dalla mafia. Una tesi che ha dell’incredibile. Non c’è lo spazio per smontare e confutare buona parte delle cose dette o evocate nel servizio. Mi soffermo su una delle questioni sollevate: l’ergastolo ostativo.

Invito i lettori di questo articolo a guardare la parte del servizio di Report sul caso di Marcello Viola. La tesi preconfezionata è la seguente. I giudici di Strasburgo, in quanto colpevolmente ignari di cosa è la mafia, con la complicità di governi silenti (e dunque forse collusi), senza sentire gli investigatori, avrebbero costretto il legislatore italiano a togliere di mezzo l’ergastolo ostativo (ossia senza speranza di uscita salvo che per i pentiti) tanto voluto da Falcone. Nella trasmissione non si dice che la Corte europea dei diritti umani si era già espressa in un caso analogo (che non riguardava l’Italia), e che ha sollevato un tema con ancora più nettezza oggetto di una sentenza recente della Corte Costituzionale italiana (e non francese).

Nella trasmissione non si cita l’articolo 27 della Costituzione che affida alle pene una finalità rieducativa. Nella trasmissione nessuno ha ricordato che non tutti possono pentirsi e così guadagnarsi la libertà: c’è chi ha poco da dire e chi può avere paura delle ritorsioni. Nella trasmissione è stato ridicolizzato il diritto al silenzio. Esso è invece un diritto processuale fondamentale. Essere silenti non significa necessariamente essere omertosi: può significare essere, ad esempio, terrorizzati dal rischio che vengano ammazzati figli, fratelli, mogli.

Nella tesi di Report sembra che i giudici di Strasburgo, superficiali e poco affini a una logica di polizia investigativa, abbiano fatto un favore a chi aveva scritto il famoso papiello. E lo abbiano fatto al pari di quei professori e di quelle università che provano a costruire un modello di detenzione dove all’ozio forzato si contrapponga lo studio. Studiare, cari amici di Report, fa bene alla sicurezza collettiva. È il più grande fattore anti-recidivante in quanto emancipa dalla cultura della illegalità.

Infine Report tratta i giudici di sorveglianza al pari di ignari notai che potrebbero far uscire i mafiosi dal carcere senza troppe indagini e sulla base di qualche esame universitario sostenuto.

Dunque, quale è il danno politico e culturale prodotto dalla trasmissione? Dopo che per anni le destre sovraniste hanno, in giro per l’Europa, attaccato le ingerenze dei giudici di Strasburgo, anche Report ha provato a dare il suo contributo alla delegittimazione della Corte europea dei diritti umani.

Non è sufficiente per fare un’informazione equilibrata e formare in modo critico l’opinione pubblica inseguire fisicamente le persone per dimostrare la loro connivenza o reticenza. Questa è un’informazione che si trasforma in processo sommario fondato sulla cultura del sospetto. Temi come quelli del 41 bis, dell’ergastolo ostativo, delle condizioni di detenzione vanno maneggiati con grande cautela. Questa deve essere la missione del giurista e questa dovrebbe essere la missione del giornalista.