Al momento a dirlo in questi termini è il presidente turco Erdogan: le unità di autodifesa curde del Rojava Ypg, il Pyd (Partito dell’Unione democratica, espressione politica del confederalismo democratico in Siria) e Feto, l’organizzazione dell’imam Gulen, sarebbero state «registrate» come terroriste nel summit dell’Alleanza atlantica a Madrid.

Secondo l’agenzia statale turca Anadolu, Erdogan ne ha parlato ieri al ritorno dal vertice: nella sessione speciale sul terrorismo, voluta da Ankara, «nel 2022 Strategic Concept per la prima volta sono state siglate come organizzazioni terroriste quelle che minacciano le nostre forze di sicurezza e i nostri popoli e territori».

Se l’uso del plurale più che un lapsus pare una rivendicazione delle occupazioni territoriali in Siria e le operazioni militari in Iraq, l’eventuale inclusione delle Ypg nella lista nera del terrorismo farebbe definitivamente esplodere una contraddizione che nel nord-est siriano monta di giorno in giorno: sono le stesse forze che, sotto l’ala della coalizione internazionale anti-Isis, combattono l’islamismo jihadista in Siria e per questo ricevono sostegno militare e logistico dagli alleati di punta della Nato.

MA ERDOGAN si è risvegliato mercoledì più immune che mai e al ritorno in patria ha dato sfogo a libere esternazioni. Un promemoria per Svezia e Finlandia («Monitoreremo da vicino se le promesse fatte al nostro paese saranno mantenute nel prossimo futuro, siamo stati più volte accoltellati alla schiena nella lotta al terrorismo»), il bilancio dei desideri turchi («La Svezia estraderà 73 terroristi. Ne hanno già mandati tre o quattro, ma non è abbastanza.

Il ministero della giustizia e quello degli esteri e l’intelligence turca vigileranno sulla questione») e pure i progetti per il futuro. Spicca un pensierino sul ripristino della pena di morte, tanto per ricordarci quanto democratico sia il regime turco.

Il ministro della giustizi nei giorni scorsi aveva avanzato l’ipotesi di reintrodurre la pena capitale, cancellata nel 2004, negli anni in cui la Turchia sognava l’Unione europea e Bruxelles considerava Erdogan un modernizzatore democratico (l’opinione è cambiata ma il ripensamento non preclude comunque l’ampliamento costante delle varie forme di partnership, dall’esternalizzazione delle frontiere alla vendita di armi).

NELLO SPECIFICO il ministro Bahceli l’ha paventata per i casi di stupro e femminicidio – nel paese uscito dalla Convenzione di Istanbul e che mette a processo la piattaforma We Will Stop Femicide – e per i casi di incendio boschivo, negli ultimi mesi attribuiti dallo stesso Erdogan proprio ai curdi, ampiamente intesi.

E se sul Rojava, dopo l’incontro faccia a faccia con il presidente Biden, frena e dice di non aver alcuna fretta di ampliare alle città di Manbij e Tel Rifaat l’operazione militare già in corso dal 2018, giovedì era una corte di Diyarbakir a ricordare a Helsinki e Stoccolma dove stanno inviando i dissidenti curdi: il giornalista Abdurrahman Gok è stato condannato a 18 mesi e 22 giorni di prigione con l’accusa di propaganda del terrorismo perché nel 2017 aveva registrato su video il momento in cui il poliziotto turco Yakup Senocak uccideva lo studente 23enne Kemal Kurkut durante le celebrazioni del Newroz curdo.

Al momento, come ricordato ieri da Erdogan, la Svezia avrebbe promesso 73 estradizioni tra presunti membri del Pkk e del movimento gulenista accusato del tentato golpe del 2016, promessa su cui la Turchia non è disposta a soprassedere: «Se non la rispettano, il memorandum non raggiungerà il parlamento turco per l’approvazione. Prima Svezia e Finlandia devono compiere il loro dovere», ha detto.

INSOMMA, IL VETO all’ingresso nella Nato è ancora sul tavolo. Ma Stoccolma e Helsinki stanno provando a salvare la faccia, soprattutto a fronte delle proteste interne, in particolare da parte della sinistra: se la premier svedese Andersson mercoledì rassicurava che «nessuno cittadino svedese sarà estradato», come fosse un merito e scordando che non si dovrebbero estradare nemmeno i rifugiati politici, ieri il ministro degli esteri finlandese Haavisto ha negato l’esistenza di una lista di individui da consegnare già preconfezionata.