La pioggia di missili sull’Ucraina e la vicenda polacca di martedi sera hanno catapultato le schegge della guerra dal cuore dell’Europa all’isola di Bali dove si stava faticosamente lavorando a una dichiarazione finale del summit G20 che potesse essere firmata da tutti i venti membri (19 nazioni più l’Unione europea).

Il rimpallo di notizie, le accuse e una salva di missili sparata proprio a conclusione del vertice rischiava davvero di lasciare del 17mo G20 di Bali un cumulo di macerie.

Invece è andata bene. Anche se con un accorta miscela di mediazioni lessicali, la montagna ha partorito qualcosa di più di un topolino ed è arrivata a condannare l’aggressione russa senza tirare troppo la corda e concedendo che la dichiarazione finale desse conto anche di approcci non condivisi all’unanimità.

«LA MAGGIOR PARTE dei membri ha condannato fermamente la guerra in Ucraina – recita la dichiarazione finale del summit al punto 3 – che sta causando immense sofferenze umane e aggravando le fragilità dell’economia globale, limitando la crescita, aumentando l’inflazione, l’interruzione delle catene di approvvigionamento, l’aumento dell’insicurezza energetica e alimentare e i rischi per la stabilità finanziaria».

Poi, i distinguo: «Ci sono altri punti di vista e diverse valutazioni della situazione e delle sanzioni». Il G20 riconosce di non essere il «forum per risolvere i problemi della sicurezza, riconoscendo (altresì) che tali problemi possono avere conseguenze significative per l’economia globale».

La parola «guerra» appare due volte: «L’era di oggi non deve essere quella della guerra», dice il comunicato dove per due volte emerge anche la parola pace: «È essenziale sostenere il diritto internazionale e il sistema multilaterale che salvaguarda la pace».

C’è il richiamo all’Onu: «È essenziale – dice il punto 4 – sostenere il diritto internazionale e il sistema multilaterale che salvaguarda la pace e la stabilità. Ciò include la difesa di tutti gli scopi e i principi sanciti nella Carta dell’Onu, con l’adesione al diritto umanitario internazionale, compresa la protezione dei civili e delle infrastrutture nei conflitti armati».

Infine la bomba atomica: «L’uso o la minaccia di uso di armi nucleari è inammissibile. La risoluzione pacifica dei conflitti, gli sforzi per affrontare le crisi, nonché diplomazia e dialogo, sono vitali».

LA BATTAGLIA come è noto è stata sulla parola «guerra» alla fine ritenuta accettabile anche dai russi che quel documento hanno firmato.

Ma la parola «invasione» non c’è anche se c’è invece il termine «aggressione» ma con un artificio, ossia richiamando «le posizioni nazionali espresse in altre sedi, tra cui il Consiglio di sicurezza e l’Assemblea generale dell’Onu del 2 marzo 2022, adottata a maggioranza (141 favorevoli, 5 contrari, 35 astenuti, 12 assenti) che deplora con la massima fermezza l’aggressione da parte della Federazione Russa contro l’Ucraina e ne chiede il completo e incondizionato ritiro dal territorio dell’Ucraina».

Insomma il G20 resta in piedi e può continuare a lavorare con un passaggio di consegne che dall’Indonesia di Jokowi va all’India di Modi, uno dei Paesi che hanno voluto, con la Cina e altri, i distinguo.

Le sfumature restano importanti. E sembra di capire che per ora né i cinesi né chi non ha voluto sanzionarlo con troppa forza abbiano cambiato opinione rispetto allo scomodo alleato russo, che accusano comunque di aver portato scompiglio generale nelle economie di tutto il mondo.

Peraltro, dopo che proprio la guerra ucraina ha fatto emergere una sorta di secondo polo alternativo a quello occidentale non si vede perché – guerra o non guerra – ci si dovrebbe rinunciare.

GLI ALTRI PUNTI del documento riguardano la lotta alla pandemia, il «deterioramento della situazione del debito» in alcuni Paesi a medio reddito, motivo per cui le banche centrali del G20 hanno promesso di tenere presente l’inflazione globale mentre calibrano l’inasprimento monetario.

Citati anche gli sforzi per limitare l’aumento della temperatura globale a 1,5°C, confermando il rispetto degli obiettivi dell’accordo di Parigi del 2015 sui cambiamenti climatici.

L’Indonesia, il Paese ospitante, ha poi chiesto unità di fronte a problemi globali come l’inflazione, la fame e le pesanti bollette energetiche e il presidente indonesiano Widodo ha voluto sottolineare come la cooperazione sia l’unica via per salvare il pianeta.