Non per nulla la Bibbia le indica fra le piaghe d’Egitto. Ma, punizioni divine a parte, le invasioni di locuste sono intimamente legate al clima e alla meteorologia. Le condizioni ottimali per la riproduzione massiccia di questi insetti sono i periodi di siccità alternati ad acquazzoni.

Un binomio meteorologico offerto in abbondanza dai cambiamenti climatici. Così, secondo uno studio pubblicato da «Science Advances», nei prossimi decenni l’areale interessato a questi armageddon, devastanti per le attività agricole e portatrici di fame, potrebbe espandersi fino al 25%.

Gli studiosi hanno consultato dati Fao e Locust Hub dal 1985 al 2020 per valutare possibili scenari futuri sulla base della pluviometria, dell’umidità del suolo, delle temperature e dei venti. Da millenni le aree più colpite da Schistocerca gregaria sono Africa, Medioriente e Asia del Sud (l’America latina conosce il flagello, da parte di un’altra specie).

La peggiore invasione degli ultimi decenni risale al 2019-2020, quando miliardi di individui si abbatterono su Kenya, Etiopia e Somalia, sullo Yemen e sull’India centrale. Le vittime future potrebbero essere Afghanistan, Iran, Turkmenistan; ma variabili come inondazioni e velocità del vento potrebbero interessare diversi altri paesi. L’insicurezza alimentare e la malnutrizione sono acuite da numerosi altri fattori: shock climatici, conflitti e le stesse misure antipandemiche. Così, secondo i dati più recenti, le persone affamate sono 735 milioni, 122 milioni in più rispetto al 2019.

Comunque, il New York Times riporta altre ipotesi: il riscaldamento globale potrebbe anche rendere troppo secche alcune delle aree preferite dalle locuste. Il flagello biblico avrebbe quindi territori più ridotti nei quali moltiplicarsi e questo potrebbe facilitare la prevenzione delle invasioni con l’uso di insetticidi in aree mirate. Molto importante è il monitoraggio, che situazioni di conflitto rendono più difficile se non impossibile.