Non è vero che l’opposizione esagera con l’ostruzionismo in parlamento. Il caso delle due “riforme” – autonomia differenziata alla camera e premierato al senato – è un’eccezione dovuta al momento di grande visibilità, siamo infatti ai voti finali. Nella routine del palazzo sono più le volte che le assenze tra le opposizioni compensano in commissione o in aula i buchi della maggioranza, salvandola.

O che distrazioni (magari interessate, per esempio dei centristi) impediscono di approfittare delle tante occasioni che il taglio dei parlamentari offrirebbe alla minoranza: anche una maggioranza ampia come quella del centrodestra adesso ha infatti le sue difficoltà nel coprire ogni votazione. L’opposizione parlamentare è in genere a bassa intensità, per quanto forti siano le polemiche fuori dall’aula. Anche questa è una prova di quanto il parlamento conta ormai poco.

Le “riforme” istituzionali sono uno dei pochi campi in cui il governo non procede per decreto. Ma sono lontani i tempi in cui i parlamentari potevano parlare per ore e tenere gli esecutivi impantanati in aula. Le modifiche ai regolamenti non lo consentono più e la prassi offre ormai ai presidenti delle assemblee una serie di strumenti per troncare il dibattito (canguri e tagliole) di cui anche presidenti di centrosinistra hanno fatto abbondante uso.

La redazione consiglia:
La fuga dal voto che consuma i parlamenti

Gli annali parlamentari raccontano poi di scontri assai più accesi rispetto a quelli provocati dalla “testuggine” fascio leghista mercoledì scorso; in passato ci sono stati tavoli e microfoni divelti, fascicoli usati come proiettili, lunghe scazzottate, ferimenti e svenimenti. Mancava, questo è vero, l’apologia in aula della decima mas, riportata di moda dal generale leghista. Visto che i salviniani rivendicano il gesto, speriamo non sappiano che cent’anni fa i fascisti tra i banchi della camera tiravano fuori anche le pistole, puntandole ai comunisti. Speriamo invece che le opposizioni ricordino la storia dell’Aventino, evitandone imitazioni altrettanto inefficaci, tipo l’abbandono dei lavori deciso ieri.

Non che questa destra non meriti l’opposizione più dura. Anche perché per tenere in piedi lo scambio di interesse tra l’autonomia che sta a cuore alla Lega e il premierato che vuole Fratelli d’Italia si è persino accelerato. Inutile che nel voto per le europee al centro e sud mezzo paese abbia espresso chiarissima preoccupazione per questo federalismo degli egoismi regionali.

La redazione consiglia:
Per la sinistra-sinistra risultato inaspettato, un valore di lungo periodo

Purtroppo il merito delle “riforme” resta in ombra e qui viene qualche dubbio sull’effettiva utilità per le opposizioni di questa «strategia del martello», come l’ha chiamata Schlein che ha convocato un’altra (piccola) piazza. Basta infatti guardarsi attorno per scoprire continui esempi di come i presidenzialismi – di cui il premierato è una versione attenuata nel nome ma esasperata negli effetti – siano del tutto inadatti a governare le società complesse.

Prendete Macron, che tutto solo decide di sciogliere le camere davanti alle prime proiezioni. È un presidente semi onnipotente che, lo dicono le europee, gode dell’appoggio del 14% dei francesi che sono andati a votare (a loro volta il 51% degli aventi diritto). Una clamorosa mancanza di legittimazione che non è però una novità, visto che quando due anni fa era stato eletto presidente della Repubblica con il doppio turno, lo aveva fatto grazie ad appena il 20% degli elettori che lo aveva scelto al primo.

Se non ci si lascia distrarre dalla propaganda, si vede bene come l’elezione diretta e la verticalizzazione del potere – cioè tutto quello a cui Meloni e soci non intendono rinunciare – siano utili soprattutto per impermeabilizzare il potere. Altro che consegnarlo direttamente ai cittadini, libero dalle pastoie parlamentari. L’incoronazione del capo, per la quale servono meccanismi elettorali premianti come quelli che ha in mente la destra qui da noi, lo blinda in una torre se non di avorio sicuramente insonorizzata. Tanto che Macron, senza consenso popolare, ha potuto ugualmente restare impassibile quando la Francia è stata attraversata da enormi movimenti di protesta contro la riforma delle pensioni, preoccupandosi solo di mandare più polizia.

C’è una logica, teorizzata decenni fa qui da noi e non in ambito centrodestra: i problemi complessi della modernità vanno affrontati riducendo lo spazio di rappresentanza delle istanze sociali radicali. L’astensionismo non è che la diretta conseguenza di tutto questo e non per caso il superamento della soglia psicologica del 50% dei non votanti questa volta non ha provocato neanche le solite ipocrite lamentazioni. Sempre di più i parlamenti rischiano di somigliare a delle quinte dove si mette in scena una rappresentazione falsa del potere. E gli spettacoli diventano sempre più maneschi, perché qualcuno ancora li noti.