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È la guerra sui prezzi a produrre lutti

È la guerra sui prezzi a produrre luttiAlcuni momenti della manifestazione dei lavoratori braccianti ieri a Latina

Campagna d'Italia Sale il fatturato della grande distribuzione, ma i cittadini non risparmiano. +4,3 è la percentuale nel 2023 di crescita del fatturato della Grande distribuzione organizzata in un solo anno, per 9,9 miliardi di euro

Pubblicato 3 mesi faEdizione del 26 giugno 2024

La morte di Satnam Singh è stata definita una tragedia che soffoca l’agricoltura onesta, ma non è un’anomalia inspiegabile: è la prevedibile conseguenza di un sistema. Un sistema che produce schiavitù, sfruttamento e morte, insieme alla narrazione che lo sostiene in nome del profitto, che chiede di massimizzare la produzione al minor costo possibile, e del consumo. Se accettiamo questo paradigma accettiamo lo sfruttamento degli esseri umani, degli animali, delle risorse naturali da parte dei grandi gruppi economici. Accettiamo lo spreco e la fame.

Nei mesi scorsi il settore primario ha occupato le prime pagine dei giornali con quella che è stata definita «protesta dei trattori». Una protesta variegata, che comunque denunciava un disagio reale con una radice comune: una politica agricola che per decenni si è occupata di cibo solo come merce nella prospettiva di breve termine dell’orizzonte elettorale. All’interno di un meccanismo terribilmente efficiente nel convogliare il grande potere economico e politico nelle mani di pochi potenti gruppi che, nel caso del sistema agroalimentare, controllano tutto. La complessità di quella protesta è stata banalizzata come contrapposizione contadini-ambientalisti, col risultato di stralciare i minimi risultati raggiunti nell’ambito del Green Deal, facendo un favore alle corporation che hanno investito grandi capitali nella produzione di sementi brevettati e pesticidi di sintesi, ma lasciando intatte le criticità del settore.

Abbiamo visto la piaga dei prezzi al ribasso dietro alla morte di Singh. Un sistema di potere che prevede spreco, sfruttamento e schiavitù per garantire prezzi finali irrisori delle materie prime. I dati confermano che lo sfruttamento detta legge nell’agricoltura italiana: nel 2023, nelle 222 ispezioni condotte dall’agenzia governativa nel Lazio, il tasso di irregolarità rilevato è pari al 64,5%, con 608 casi di caporalato accertati. Si tratta di una struttura di potere che ha bisogno dello sfruttamento per mantenere livelli stabili di profitto, pur assorbendo la fetta più importante dei sussidi europei e italiani per l’agricoltura. I grandi assenti sono le catene di distribuzione, i grandi supermercati, la Gdo che vendono a prezzi irrisori e determinando i parametri del mercato. Prezzi sempre più bassi per andare incontro alle esigenze dei consumatori. Ma davvero? In realtà i prezzi al consumo per i lavoratori dipendenti, dal 2015 al 2024, sono aumentati del 58,9%, con in primo piano il comparto alimentare. Lo stato del Largo Consumo in Italia di NielsenIQ evidenzia come la Gdo abbia registrato un fatturato di 9,9 miliardi di euro a dicembre 2023, valore cresciuto del 4,3% in un anno.

Dal 2021 la Direzione antimafia di Milano ha eseguito sequestri per più di mezzo miliardo di euro per frodi fiscali: coinvolte importanti società operanti nella Gdo, come Esselunga, Carrefour Italia e Lidl, oltre ad aziende che operano nel campo della logistica. Per la procura «è sufficiente sostituire ‘manodopera meridionale’ con ‘lavoratori extracomunitari’ e si toccherà con mano un fenomeno di sfruttamento che va avanti da anni e che coinvolge lavoratori in condizioni di fragilità». Un sistema che avvantaggia la Gdo e l’industria agroalimentare, non i cittadini. Non i contadini. Il numero di contadini autonomi, infatti, si è dimezzato negli ultimi decenni. Nello stesso tempo il numero di giornate lavorate è aumento, segno che chi non ha chiuso lavora molto più di prima. Da tempo evidenziamo i paradossi di un sistema alimentare basato sul profitto e che tollera l’iniquità. Servono impegni concreti sul piano normativo, serve una mobilitazione popolare a fianco dei lavoratori sfruttati, serve una cultura nuova che restituisca valore al cibo e alla vita stessa.

***L’autrice è presidente di Slow Food

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