Era già tutto previsto, in questa campagna elettorale tanto cruciale quanto stanca? Quasi ma non del tutto. Il triangolo, per esempio non lo avevano considerato. Non lo aveva previsto nessuno e invece solo a quello pensano nello scorcio finale i partiti: il triangolo spaventa gli uni, fa sognare gli altri.

Letta lo dice apertamente anche se non proprio chiaramente: «La dinamica che è in corso in tanta parte del paese sta aprendo opportunità anche e forse innanzitutto a noi, opportunità triangolari che rendono molto meno semplice la vittoria della destra». Ermetismi a parte il senso può essere uno solo: non è più «ci siamo più solo noi e la destra», come declamato a iosa nei primi giorni di campagna elettorale, ma una sorta di involontario, fortuito però provvidenziale «marciare divisi per colpire uniti».

Insomma, capita che ci sia anche il M5S e che al sud galoppi. Se riuscisse a strappare al Senato 15 dei 31 seggi il trionfo di Giorgia Meloni rifluirebbe nel solito, rassicurante, «non ha vinto nessuno, il Paese è ingovernabile» e quello, si sa, per il Pd è l’habitat naturale, il più congeniale. Ma anche se il Movimento conquistasse solo i 9 collegi meridionali in cui è più forte la vittoria della destra sarebbe mutilata e non longeva.

La speranza del segretario Pd non è solo una chimera. La sensazione, corroborata dalle rilevazioni segrete che come sempre circolano ovunque, è che nelle ultime settimane Conte da Napoli in giù abbia preso la rincorsa, sia lanciatissimo. Il primo ad accorgersene era stato il governatore della Puglia Emiliano, che non aveva esitato a chiedere il voto utile anche ove non avesse premiato il Pd. Negli ultimi giorni lo ha seguito un esercito: giornalisti dotti ed edotti, a partire da Paolo Mieli, sino alle parole sibilline pronunciate ieri da Letta. Perché se è ovvio che tutti i rivali della destra si rallegrerebbero di arginare la piena senza guardare per il sottile è anche vero che per il Pd ci sarebbero motivi di lutto pari se non superiori a quelli di gioia.

Il triangolo funziona solo se a portare voti alla testa di serie sarà il Pd perché a contendere, sotto Napoli, c’è solo Conte. Ma senza illudersi che si possa verificare e uno scambio di favori nel resto d’Italia. I 5S sono troppo euforici per l’insperata resurrezione, e troppo furibondi con l’ex alleato, per mettersi a fare conti minuziosi. Per Letta il prezzo dello sgambetto triangolato alla sorella tricolore potrebbe essere il più doloroso di tutti: un sorpasso dei 5S che in finale di partita appare, se non probabile, neppure del tutto impossibile ma che diventerebbe quasi inevitabile se a sud gli elettori del Pd decidessero di rendersi utili a ogni costo.

In quel caso il terremoto non squasserebbe solo il Nazareno, rendendo probabilmente inevitabili le dimissioni immediate o quasi del segretario, ma obbligherebbe a ridisegnare tutte le mappe della politica italiana. In cambio però farebbe un passo da gigante le costruzione di quel clima da rigoverno istituzionale sul quale continuano a puntare i capibastone del Nazareno: il prezzo potrebbe valere la candela.

La partita che si gioca nell’ultimo scorcio è accompagnata da un altro sogno di sorpasso che, ove mai si realizzasse, avrebbe conseguenze quasi altrettanto esplosive: la sensazione generale, si saprà solo domenica se fondata, è che il Terzo polo cresca e la Lega decresca: se Calenda si avvicinasse in salita all’asticella del 10% e Salvini pure, però in discesa, potrebbe concludersi con l’impensabile realizzato e Calenda non nasconde che proprio questa sia la sua partita: incassare più voti della Lega.

Se queste sono le correnti profonde che agitano la politica italiana a un passo dalle urne, in superficie schiumano faccenduole come la guerra e una crisi economica che monta ogni giorno di più. A insaporire quella che altrimenti sarebbe una minestra riscaldata, fatta dell’accusa rivolta soprattutto da Letta non solo a Salvini ma anche a Meloni di essere oggettivamente una risorsa del Cremlino, ci si mette l’ambasciata russa, che pubblica un manifesto costellato di foto di eminenti politici italiani che fraternizzano con l’invasore, ovviamente anni o decenni prima del fattaccio.

Ci sono praticamente tutti, l’unica assente è proprio Giorgia la putiniana pentita. Il manifesto in sé non dice niente, ma il commento che lo accompagna è più sapido: «Ne abbiamo da ricordare». In effetti in questa pessima campagna elettorale di un pizzino simile si avvertiva la mancanza.