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Due storie, un solo destino. Marjan come Maysoon

Due storie, un solo destino. Marjan come Maysoon

La storia della 29enne sotto processo a Locri: è anche lei accusata di essere una scafista

Pubblicato 20 giorni faEdizione del 20 settembre 2024

Due storie personali diverse. Ma accomunate dal medesimo destino, beffardo e ingiusto. Maysoon Majidi e Marjan Jamali: entrambe donne, entrambe iraniane, entrambe fuggite dal regime teocratico di Teheran, entrambe asilanti, entrambe sbarcate in Calabria. Ed entrambe arrestate con l’accusa di favoreggiamento dell’immigrazione clandestina. Insomma due «scafiste» per i solerti funzionari dello stato italiano. Fino a maggio erano accomunate anche dalla medesima condizione restrittiva carceraria. Poi Marjan, assistita dallo stesso legale di Maysoon, Giancarlo Liberati, ha ottenuto gli arresti domiciliari così come deciso dal Riesame di Reggio Calabria.

LI STA SCONTANDO nella cooperativa «Jungi Mundu» di Camini, nella Locride, dove si è ricongiunta con il figlio di 8 anni. Si tratta di due vissuti tuttavia diversi. Marjan non è un’attivista, nè un’artista. Ma una donna fuggita da un marito violento che aveva tentato di ucciderla per strangolamento. Ha 29 anni ed è sotto processo a Locri. Scampata dalla violenza domestica che nel contesto del regime iraniano non ha alcuna persecuzione giuridica, si è trovata sbattuta in carcere appena due giorni dopo lo sbarco, avvenuto a Roccella Jonica il 26 ottobre dello scorso anno. L’accusa di favoreggiamento dell’immigrazione irregolare, ipotizzata per entrambe, basata sull’articolo 12 del Testo Unico sull’Immigrazione, opprime Maysoon e Marjan come se fossero trafficanti di esseri umani, nega loro qualsiasi forma di protezione, le sottopone a un regime detentivo che nel caso di Marjan l’ha allontanata dal figlio minorenne per ben 14 mesi prima del permesso accordato verso i domiciliari. Mentre nel caso di Maysoon la sta portando a una deprivazione fisica e psicologica particolarmente preoccupante. All’udienza di mercoledì a Crotone pareva davvero «una stampella con addosso i vestiti» come l’aveva definita il consigliere regionale (e medico) Ferdinando Laghi dopo una visita in carcere. L’accusa a carico di Marjan si basa esclusivamente sulla testimonianza di tre iracheni- poi spariti- che l’hanno sessualmente molestata durante la traversata.

UGUALMENTE, l’accusa a Maysoon si basa sulla iniziale deposizione di due compagni di traversata che successivamente avrebbero ritrattato ma che risultano ad oggi anch’essi spariti e «irreperibili». Numerose irregolarità hanno caratterizzato le indagini e le fasi preliminari del processo di Locri a carico di Marjan. La difesa ha evidenziato le difficoltà riscontrate nell’accesso agli atti del procedimento ed ha depositato contestualmente la ricevuta del pagamento dei 14.000 dollari versato dalla famiglia di Marjan ad un’agenzia turca, come quietanza del viaggio suo e del figlio per l’Europa. E’ la prova documentale che non si tratta di una scafista ma di una comune migrante fuggita con il figlio da persecuzione e violenza. Lo stesso beffardo paradosso che ha spinto Maysoon nell’ultima udienza a chiedere quasi in lacrime al collegio. «Come posso essere una scafista se sono stata costretta a stare con altre decine di persone in un sotterraneo in attesa dei camion per andare ad imbarcarci? Come posso essere una scafista se, come avete anche detto voi, ho continuato a cercare i soldi per pagarmi il viaggio fino a tre giorni prima della partenza? Come faccio ad essere una scafista se ho chiesto un prestito al partito Komala, di cui io e mio fratello eravamo membri, per poter partire?».

DUE STORIE di malagiustizia che trovano terreno fertile in una legislazione fallace come quella italiana. Affinché si configuri il reato, l’articolo 12, infatti, richiede l’intenzione di svolgere la condotta descritta nell’offesa, indipendentemente dal motivo e dal raggiungimento dell’obiettivo. Il profitto finanziario o materiale derivante dal favoreggiamento irregolare è una circostanza aggravante, ma non un è elemento costitutivo del crimine. Insomma, la normativa non prevede la presenza di un vantaggio finanziario o materiale per criminalizzare il favoreggiamento dell’ingresso. E ciò che rende il corso giudiziario di Maysoon e Marjan alquanto irto. Però una cosa c’è ad accomunare positivamente le due storie. È la mobilitazione a loro sostegno. I comitati Free Marjan Jamali e Free Maysoon Majidi hanno smosso le coscienze, hanno spinto la politica ad occuparsene (è di ieri l’ultima interrogazione parlamentare presentata sul caso Majidi dal senatore Ivan Scalfarotto di Italia Viva), hanno acceso i fari su quelle falle normative e giudiziarie. Di un Paese che si definisce libero. Ma solo a parole.

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