Una è detenuta in Ungheria da dieci mesi, l’altro rischia di diventarlo tra poche settimane.

La storia di Ilaria Salis e Gabriele Marchesi comincia il 10 febbraio scorso, a Budapest, alla vigilia del Tag der Ehre, il giorno dell’onore, cioè la celebrazione della memoria dei soldati nazisti che, nel 1945, tentarono di rompere l’assedio dell’Armata Rossa e vennero uccisi in battaglia. L’occasione porta ogni anno in Ungheria un buon numero di neonazisti da ogni parte d’Europa, con tanto di macabra parata per le vie della capitale. L’ultima volta, però, l’evento è stato segnato anche da scontri tra nostalgici e antifascisti.

Secondo gli inquirenti esisterebbe una vera e propria organizzazione, fondata nel 2017 a Lipsia in Germania e guidata da Johann Gunterman e Lina Engel, che ha l’esplicita «finalità di attaccare e assaltare i militanti fascisti o di ideologia nazista». Nel mandato di cattura internazionale stilato dal pubblico ministero metropolitano di Budapest lo scorso 30 ottobre per Gabriele Marchesi – arrestato lunedì scorso a Milano e mercoledì mandato ai domiciliari – si descrivono in particolare due aggressioni: nella prima, avvenuta intorno alle 12 del 10 febbraio, a farne le spese è stato un uomo. In sette lo hanno prima seguito e poi picchiato, causandogli lesioni guaribili in otto giorni. Nella seconda, intorno alle 23, due neonazisti sono stati attaccati sotto la propria abitazione e alla fine hanno riportato «parecchi lividi sulla testa e sulle gambe».

Salis è detenuta in Ungheria da allora. Un testo che gira sui siti antifascisti riferisce lo stato delle cose al 14 e 15 ottobre scorsi, quando i suoi avvocati l’hanno incontrata in carcere a Budapest, in un parlatoio, divisi dal plexiglass.

Le condizioni della sua detenzione sarebbero terribili, tra celle fatiscenti, scarse quantità di cibo, sveglia alle 5 e 30 del mattino e trasferimenti verso il tribunale con corredo di manette, cavigliere chiuse da lucchetti e cinture di cuoio per legare il tutto.

Sul piano legale, si legge nel documento, «gli avvocati riferiscono che Salis ad oggi risulta essere sospettata di aver preso parte ad una sola delle aggressioni ed è accusata di aver commesso un’aggressione con due aggravanti: ossia di aver potuto pregiudicare la vita della vittima e di averlo commesso all’interno di un’organizzazione criminale. Anche se viene riconosciuta la non appartenenza di Ilaria all’organizzazione si suppone che fosse comunque a conoscenza della sua esistenza».

La pena prevista per tutto questo in Ungheria può arrivare fino a 16 anni, e a Salis è stato proposto un patteggiamento a 11 anni. La procedura ora prevede che, dopo la chiusura delle indagini, il pubblico ministero formuli la sua accusa, poi comincerà il processo vero e proprio. Forse il prossimo febbraio, con udienze a cadenza bimestrale a porte aperte.

PER QUELLO che invece riguarda Marchesi, l’accusa arrivata dall’Ungheria è molto generica e il mandato d’arresto europeo non è stato ancora tradotto in italiano. Nel verbale d’identificazione redatto dalla quinta sezione penale della Corte d’Appello di Milano si legge che gli inquirenti ungheresi non hanno identificato «espressamente la materialità dell’apporto dato» da Marchesi «a ciascuna azione criminosa».

Nonostante questo, l’arresto del giovane (ha 23 anni) è stato convalidato, con concessione dei domiciliari, in attesa dell’udienza del 5 dicembre in cui si discuterà della sua eventuale consegna. Prima sul punto dovrà esprimersi anche il ministero della Giustizia. Il reato che viene contestato a Marchesi equivale a quello italiano delle lesioni personali. E qui per fatti del genere la macchina giudiziaria si accende solo dopo la presentazione di una denuncia – cosa che non risulta essere stata fatta – ed è molto raro che si venga arrestati.