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Droni e piloti. La burocrazia della morte

Droni e piloti. La burocrazia della morteDronisti vicino a Pokrovsk – foto di Vincenzo Circosta

Il reportage Una notte insieme ai dronisti dell’esercito ucraino vicino a Pokrovsk. L’alienazione e le persone straziate dalle bombe come cifre su un grafico di rendimento aziendale

Pubblicato 16 giorni faEdizione del 20 settembre 2024

«Mi chiedono spesso se vale la pena sprecare centinaia di dollari per inviare un drone a colpire un singolo soldato nemico. Io rispondo che quando i russi vedono un loro compagno ridotto a pezzettini capiscono che quella potrebbe essere anche la loro fine e li assale il terrore. Devono sapere che se continuano ad avanzare quella è la fine che faranno tutti».

foto di Vincenzo Circosta

CANCRO, IL NOME dell’ufficiale che comanda un’unità di droni nei pressi di Pokrovsk, è un ingegnere con il doppio passaporto ucraino e moldavo. Parla senza sosta, quando attacca un discorso è impossibile fermarlo, quasi non prende aria e chiude raramente le palpebre. Si arriccia ripetutamente la barba sotto il mento mentre ti guarda con l’espressione assente di un burocrate che enumera i morti nemici come fossero indici di crescita di un’azienda statale. È il lato più disumano della guerra, quella che uccide professionalmente, senza porsi minimamente il dubbio che ciò a cui stai puntando è l’eliminazione di un essere umano e non un risultato da raggiungere. Lui e i suoi sottoposti non dormono in prima linea, hanno una delle cosiddette «case sicure», un’abitazione civile abbandonata, ed è lì che tornano dopo ogni missione.

NELLA CASERMA hanno anche un’officina e un piccolo deposito di munizioni. Il loro gioiellino è quello che in gergo si chiama «vampire», un drone molto grande con 8 eliche che può trasportare cariche più pesanti dei piccoli Mavic, i droni cinesi della Dji che riadattati possono portare al massimo una granata. «Ma non è più come prima» continua Cancro, «con il vecchio comandante avevamo libertà d’azione, lui ci ascoltava e si fidava. Considera che da marzo ad agosto abbiamo ucciso, secondo un conto per difetto, 1.500 russi, una volta 130 in giorno solo». Di nuovo il burocrate, 1.500 non sono persone, sono una cifra in un grafico di rendimento. Ma non sente mai nulla quando ci pensa? «Ogni russo morto è uno dei nostri al quale potremmo aver salvato la vita, io la vedo così».

Cancro si lamenta dell’inefficienza del comando. Da qualche tempo non li lasciano più agire come secondo lui dovrebbero e, infatti, «non siamo più efficienti come prima, inizio a essere stanco». Dice che vorrebbe chiedere una licenza per tornare da sua moglie e da sua figlia in Moldavia. Uno dei problemi è che la sua squadra non è all’altezza: gli servirebbe un puntatore che ha studiato fisica o che, almeno, «abbia delle nozioni scientifiche sufficienti per capire come aiutarmi». Spiega che il volo si fa sempre in due, uno pilota e l’altro controlla i parametri (vento, altitudine, velocità) e aggiusta la mira se serve. «Volete vedere?». Alla fine dobbiamo vedere, sembra di dover sottoporsi a una prova. La premessa necessaria è che al fronte si combatte e si muore dovunque è c’è ben poco onore in tutto ciò.

Ma i dronisti in un’ipotetica scala dell’onore sono all’ultimo posto. Fanno alzare in volo un giocattolino che in qualsiasi negozio di elettronica si può comprare anche per 250 euro (sono esattamente gli stessi, senza modifiche), lo pilotano dallo smarphone o attraverso una cloche connessa a un tablet e scrutano il terreno nemico alla ricerca di bersagli. A quel punto ci sono due attività: se si pilota un drone di ricognizione si trasmettono le coordinate all’artiglieria, se un drone d’assalto si colpisce. Nel secondo caso si aspetta in quota, e i video mostrano questa attesa, si posiziona il velivolo e si sgancia. La telecamera del drone riprende tutto e se il bersaglio era un soldato lo vedi morire. Peggio, lo vedi smembrato, agonizzante esalare gli ultimi respiri. Russi e ucraini su queste riprese costruiscono video che poi caricano in rete con tanto di sottofondo musicale e scene al rallentatore. «Parecchie le ho su un hard disk, sul cellulare me ne sono rimaste poche» si giustifica Cancro dopo aver mostrato il video di un soldato russo a cui si trancia la gamba di netto e muscoli e tendini penzolano sanguinanti.

«GUARDA, ora chiede aiuto» il poverino effettivamente arranca verso una trincea e quando un soldato esce per aiutarlo un secondo drone sgancia la sua granata ed entrambi vengono coperti da una nuvola di fumo. Nella «casa sicura» risuonano grida di approvazione. Cancro non si ferma, «aspetta, ho anche quelli degli Fpv». I droni First person view, ovvero con vista in prima persona si pilotano attraverso le immagini riprese dalla telecamera sul velivolo. In pratica è come se si fosse a bordo del drone. Questo secondo tipo viene usato per attacchi mirati e generalmente può effettuare voli più lunghi e a distanze maggiori degli altri. Gli fpv sono quelli che possono entrare all’improvviso nella trincea, penetrare in una casa sicura da una finestra, infilarsi in un hangar o in un deposito…

«SONO IL FUTURO della guerra, tra poco l’artiglieria sarà inutile» dice l’ingegnere. Il solo sospetto della loro presenza terrorizza la fanteria, «se ci fai caso, si vede anche dai video, le nuove reclute di fanteria si tumulano nelle trincee o nei bunker e non escono più, hanno una paura fottuta degli Fpv che li rende immobili». Sembra quasi che Cancro se ne stupisca. Seguono altri video di soldati inseguiti fino allo sfinimento, di mezzi corazzati attaccati alle spalle attraverso gli sportelli aperti, di semoventi distrutti mentre fanno manovra. Un’altra curiosità è che i droni ora sono usati anche per posare le mine, si tratta di piccole mine che non uccidono quasi mai «al massimo perdi una gamba», ma che servono di notte per rivelare fonti di calore che per i visori notturni sono come bersagli.

I dronisti sono tutti uguali da un lato e dall’altro del fronte. I russi pubblicano video identici a quelli che ci hanno mostrato durante una nottata di vino dolciastro e amarezza per non poter più svolgere il lavoro «come una volta». Sono ex nerd giovani o tecnici informatici se maggiori di 30 anni e i reparti li cercano come l’oro. Non sono mai sporchi di terra come la fanteria in trincea, non fanno i turni interminabili degli artiglieri e, malgrado ciò che molti di loro dicono, non volano. Giocano. Grazie alla tecnologia che rende sempre di più tutto intuitivo e semplice da usare questi soldati utilizzano un’interfaccia che è molto simile a quella dei videogiochi di alto livello o dei simulatori di volo più semplici.

SONO UN ASSAGGIO della guerra del futuro nel presente e spaventano più degli altri soldati perché lasciano presagire a una disumanizzazione totale di un contesto che già per sua natura annienta l’umanità. Almeno gli altri li vedono i cadaveri, portano schegge sottopelle e hanno cicatrici, lo sanno che vuol dire perdere un commilitone a mezzo metro di distanza o diventare sordi o ciechi per un’esplosione. Dallo schermo sembra tutto virtuale. Finché non capita che la realtà reclami il suo dazio e allora l’artiglieria, l’aviazione o – ironia della sorte – un drone nemico viene a ricordargli che anche loro sono umani. Spesso una volta per tutte.

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