Chi si era fatto illusioni, negli ultimi tre-quattro giorni, sulla possibilità di evitare una guerra tra Israele e Hezbollah, ieri è tornato con i piedi per terra. Il rischio di guerra è tornato altissimo. Un alto comandante del movimento sciita in Libano del sud, Abu Ali Nasser – con un incarico simile a quello di Taleb Abdallah (Abu Taleb) assassinato lo scorso 11 giugno da Israele – è stato ucciso da un drone ad al Hawsh, a est di Tiro. Hezbollah ha reagito sparando almeno 100 missili e razzi verso il territorio israeliano. «Questa guerra totale di cui ci minaccia Israele non la vogliamo ma non la temiamo neppure», avevano scritto in un comunicato congiunto diffuso a Tiro, qualche giorno fa, Hezbollah e il movimento cugino Amal, mostrando un volto insolitamente soft.

PARE EVIDENTE, già da mesi, che il gruppo sciita non desideri un conflitto totale. Sa che la maggioranza della popolazione libanese è contraria a una guerra con Israele che si prevede altamente distruttiva per il paese dei cedri, già in ginocchio per una crisi economica e finanziaria devastante. Dall’altra parte del confine al contrario sale l’appoggio all’invasione per allontanare i combattenti di Hezbollah fino al fiume Litani (16 km dalla frontiera). Più parti in Israele, con in testa i 60mila sfollati dall’Alta Galilea, premono per una «soluzione di sicurezza permanente», per un «cambiamento radicale» che esercito e aviazione, con i loro bombardamenti stanno già attuando riducendo in cumuli di macerie i villaggi libanesi (ma non quelli cristiani) situati in una fascia larga 5 km lungo il confine. I carri armati in uscita da Rafah «possono arrivare fino al fiume Litani», ha avvertito ieri il ministro della difesa Yoav Gallant. «Stiamo colpendo duramente Hezbollah e siamo in grado di intraprendere qualsiasi azione necessaria in Libano o per raggiungere un accordo da una posizione di forza», ha aggiunto.

NON VANNO considerati solo folklore politico i fermenti a favore della colonizzazione israeliana del Libano del sud paralleli a quelli che spingono per colonizzare la Striscia di Gaza. Il 17 giugno si è svolto un webinar, «Prima conferenza del Libano», organizzato da un gruppo di destra che vede nella costruzione degli insediamenti coloniali nel paese dei cedri la «unica soluzione» del conflitto con Hezbollah. I partecipanti non erano persone qualsiasi bensì personaggi di spicco, accademici, rabbini influenti, tra i quali il cognato del premier Netanyahu e Daniella Weiss, leader del movimento per la colonizzazione di Gaza. Già lo scorso novembre un rabbino dell’esercito aveva urlato: «Questa terra è nostra! Gaza è nostra, il Libano è nostro».
Per ragioni strategiche, religiose o di sicurezza, l’area a sud del fiume Litani è stata un tema ricorrente nel discorso sionista di destra negli ultimi decenni. Durante l’invasione israeliana del 1982, il movimento dei coloni Gush Emunim chiese il ritorno al territorio che «apparteneva alla tribù biblica di Asher» che si sarebbe esteso fino a Sidone.

HEZBOLLAH negli anni successivi rese impossibile la vita agli occupanti nella cosiddetta «fascia di sicurezza», costringendo nel 2000 Israele a ritirarsi dal Libano. E altrettanto avverrebbe ora. Il movimento sciita è un piccolo esercito, in grado di colpire con i suoi missili, se ci sarà una invasione, Tel Aviv, Haifa e un po’ tutte le città israeliane. Non solo ma è probabile che grazie alla sua rete di tunnel sotterranei possa lanciare le sue unità speciali Radwan all’occupazione dei centri abitati israeliani oltre la frontiera con il possibile appoggio di miliziani iraniani, pakistani e afghani dispiegati in Siria negli anni passati.