Droghe, Libro Bianco e Relazione al Parlamento: stessa diagnosi
Fuoriluogo La rubrica settimanale a cura di Fuoriluogo
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Il 30 giugno è stata pubblicata dal Dipartimento per le Politiche Antidroga la Relazione Annuale al Parlamento sul fenomeno delle tossicodipendenze in Italia.
Nelle 422 pagine vengono (anche) condivisi e brevemente commentati quegli stessi dati che sono ogni anno oggetto di analisi sul Libro Bianco sulle Droghe, in particolare: ingressi e presenze in carcere, procedimenti penali pendenti, segnalati, segnalazioni e relative sanzioni amministrative, misure alternative.
Tra i dati da noi raccolti e quelli presentati dal DPA molti coincidono, ma vi sono anche delle discrasie: alcune sono dovute al fisiologico consolidarsi dei dati, che spostano di poche unità i conteggi. Un esempio è il totale dei ristretti ex DPR 309/90 al 31 dicembre 2019, che da 21.147 sono diventati 21.213: aggiustamenti privi di una reale rilevanza statistica.
Notevoli differenze emergono invece, negli anni precedenti al 2020, nella tabella relativa a segnalati e segnalazioni: su questi dati sarebbe auspicabile un confronto, volto a comprendere come sia possibile che tra “i nostri” numeri (annualmente inviatici dal competente ufficio del Ministero) e “i loro” ci sia una forbice tanto ampia.
Del resto, confrontando l’ultima Relazione al Parlamento con quella dell’anno precedente è possibile riscontrare sensibili differenze, che diventano ancor più marcate se si guarda la Relazione 2019 sui dati 2018. Una tale schizofrenia non può essere frutto del mero consolidamento: i numeri riportati nelle Relazioni divergono (parecchio) già a partire dal 2010; in termini di raccolta statistica, quei dati avrebbero dovuto esser scritti sulla pietra.
Molto distanti anche i dati sugli ingressi in carcere nel 2020: 35.280 di cui 10.852 ex art. 73, stando al Libro Bianco; 53.933 di cui 15.698 ex art. 73 nella Relazione al Parlamento.
In questo caso crediamo si tratti di un errore materiale da parte del Dipartimento per le Politiche Antidroga: nei lunghi mesi di lockdown, di limiti alla circolazione, di tribunali chiusi e udienze rimandate, è infatti difficile immaginare che si sia verificata un’impennata degli ingressi in carcere (+16,7% sul 2019). Molto più plausibile è il decremento (-23,6%), come accaduto per detenuti presenti, segnalazioni e segnalati.
È ipotizzabile allora si sia fatto l’errore di inserire, in luogo degli ingressi, i detenuti presenti (in una data diversa dal 31 dicembre, giacché i numeri sono diversi).
In linea generale, i dati sono inequivocabili: il proibizionismo è e resta il volano di ogni politica carceraria; un detenuto su tre è in carcere per violazione della normativa antidroga, uno su quattro è “tossicodipendente;” quasi il 75% delle segnalazioni e la metà (in kilogrammi) dei sequestri riguarda la cannabis e i suoi derivati; dal 1990 al 2020, circa un milione di persone sono state segnalate ex art. 75 per consumo di cannabinoidi.
Ogni anno lo Stato spende miliardi di euro per processare, incarcerare, sequestrare. Ciononostante, qualsiasi tipo di droga circola liberamente nelle strade, e i proventi del mercato vengono incamerati e riciclati dalle mafie.
I consumatori, stigmatizzati, si allontanano dai servizi, talvolta dedicandosi alla microcriminalità e al piccolo spaccio, e indulgendo in modalità di consumo più rischiose perché clandestine.
Nel 2020, in Italia, 308 persone sono morte per overdose. Numeri tremendi sebbene in diminuzione, ma che impallidiscono a fronte degli oltre centomila morti causati ogni anno, congiuntamente, da alcol e tabacco: prodotti legali, pubblicizzati, tassati, che nessuno si sognerebbe di proibire.
Serve quindi un nuovo approccio, più umano ma anche più efficace, che al dogma prediliga i risultati, che metta al centro la sicurezza e la salute pubblica anziché il furore ideologico che tanti danni ha fatto da decenni a questa parte. L’ora sarebbe giunta, ma pare che al governo gli orologi siano ancora fermi a trentuno anni fa.
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