Economia

Minenna: «Draghi è sceso a patti con i tedeschi, ora serve cambiare il Fiscal compact»

Minenna: «Draghi è sceso a patti con i tedeschi, ora serve cambiare il Fiscal compact»L'economista Marcello Minenna

Intervista a Marcello Minenna L'ex assessore M5s a Roma, tornato ad insegnare finanza. «Abile il presidente Bce, ma serve un cambio di passo: propongo che il fondo salvastati diventi garante del debito dell’Eurozona, primo passo verso gli Stati uniti d’Europa»

Pubblicato circa 7 anni faEdizione del 7 novembre 2017

Marcello Minenna – ex assessore al Bilancio a Roma e ora docente alla London Graduate School – Draghi ha dimezzato il Quantitative easing ma lo ha prolungato. Una mossa a sorpresa che continua a spiazzare i mercati.

Direi di sì. L’impegno a ricomprare i titoli che scadono significa che non mancherà il supporto agli Stati membri in sede di rifinanziamento del proprio debito pubblico. In più ha detto che se l’inflazione non apparirà all’orizzonte gli acquisti potranno anche aumentare. Cambi e tassi giravano in tondo senza prendere una direzione. Nel momento in cui il presidente della Bce ha reso noto che non intendeva mollare la presa, l’euro ha cominciato a deprezzarsi ed è aumentata la differenza di rendimento tra i titoli di Stato statunitensi e quelli tedeschi, punto di riferimento per l’Eurozona. A riprova che gli operatori di mercato hanno interpretato le parole di Draghi come una politica monetaria più accomodante rispetto all’oramai scontato dimezzamento del Qe.

Draghi, in sostanza, ha fregato i tedeschi o è sceso a patti?

Il presidente Bce è riuscito anche stavolta a trovare un compromesso con i falchi per andare avanti ed evitare inutili tensioni sulla nostra area valutaria. Siamo però ancora lontani dall’auspicabile  cambio di rotta verso la condivisione dei rischi. Speriamo che nei due anni che gli mancano possa rompere il muro tedesco.

I maligni dicono che il rallentamento degli acquisti deriva dal fatto che siano finiti i titoli di stato tedeschi, i bund, da comprare. È vero?

Un fondo di verità c’è. Questo è il risultato della scelta di comprare i titoli di Stato non in base alla dimensione del debito ma de facto in base a quella del Pil. La Bce è impegnata direttamente in acquisti marginali, in realtà presta denaro alla banca d’Italia affinché compri i Btp, alla Bundesbank per comprare i Bund e così via. In questo modo la gestione dei rischi è completamente differente. Se i Btp li avesse comprati la Bce, un qualsiasi problema sul nostro debito pubblico sarebbe stato a carico di tutti gli Stati membri, se li compra la Banca d’Italia questi rischi restano a casa nostra. È la differenza tra europeizzare i rischi o nazionalizzarli. Se cumuliamo questo fenomeno negli ultimi 7 anni si tratta di un differenziale del 30 per cento di competitività fra imprese tedesche e italiane sul costo del danaro. È questo il problema principale dell’Europa: avere più tassi di interesse con la stessa valuta è un ossimoro che deriva dall’esigenza dei mercati finanziari di valutare la decisione, tutta politica, di nazionalizzare i rischi all’interno degli Stati invece di condividerli. Sono queste decisioni che portano gli operatori finanziari a scommettere sullo spread e quindi sulla divergenze delle economie finanziarie e non sulla loro convergenza, come fu negli anni precedenti alla nascita dell’euro.

Esiste un modo per invertire questa situazione?

Un nuovo indirizzo all’insegna della condivisione dei rischi. Prossimamente si devono verificare due trattati, il Fiscal compact e il Fondo salvastati. Ora, immagini un fondo salvastati che diviene garante del debito pubblico dell’eurozona. E lo fa con un’operazione di mercato in cui si fa pagare dagli Stati membri il premio per fornire questa assicurazione. Immaginiamo anche che lo si faccia a rate, cioè man mano che il debito pubblico di un stato membro viene rifinanziato alla scadenza. Inoltre immaginiamo un Fiscal compact rivisto nel quale i premi incassati dal fondo salva stati supportino ulteriori operazioni finanziarie del fondo – seguendo le sue attuali prassi – funzionali ad effettuare buoni investimenti, cioè redditizi – non cattedrali nel deserto – negli stati membri in base ai premi pagati. In una decina d’anni non ci sarebbero più debiti pubblici senza la garanzia del fondo salvastati, i debiti pubblici nazionali non avrebbero più senso, il fondo sarebbe in nuce il bilancio federale dell’eurozona e il prodotto interno lordo riceverebbe l’accelerazione dei tanto agognati investimenti arrivando come eurozona ad un rapporto debito/Pil non così lontano dai fantomatici parametri di Maastricht.

Una vera svolta. Ma la Germania non sarà mai d’accordo…

La mia è una proposta di mercato, non ci sono aiuti di Stato, che fa dell’eurozona un’area valutaria come il dollaro ed elimina quelle contraddizioni architetturali che nello spread hanno il loro simbolo e che generano indebiti trasferimenti di ricchezza verso la Germania a scapito degli altri Stati membri. Se poi non se ne può neanche discutere e siamo destinati ad ottenere solo modifiche marginali spesso inutili volute dai tedeschi, credo sia meglio lavorare e cercare consenso su un piano B

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