Draghi chiede una svolta all’Europa
«La risposta a difesa di consumatori e imprese deve essere europea. Dobbiamo arrivare a una gestione davvero comune del mercato dell’energia». È questa la chiave non solo delle comunicazioni di Draghi al parlamento in vista della girandola di incontri di oggi e domani (il vertice Nato, quello del G7, il Consiglio europeo con Joe Biden ospite d’onore) ma anche delle sue lunghissime repliche. Il pacchetto di ipotesi che Draghi anticipa è corposo. Coordinamento fra tutti i Paesi e la Commissione sullo stoccaggio e sugli acquisti soprattutto di gas liquido, perché finché si tratta di gasdotti i Paesi in cui i tubi arrivano hanno un potere contrattuale ma col gas che viaggia su navi il potere contrattuale scompare. T
etto europeo sul prezzo del gas, che sarebbe l’obiettivo principale ma Draghi fa capire che l’opposizione dei Paesi del nord, spalleggiati dalla Commissione, impedirà di raggiungerlo, almeno per ora. Separazione del prezzo del gas da quello dell’elettricità prodotta da rinnovabili.
In realtà la richiesta rivolta all’Europa è anche più complessiva. Draghi allude a una vera rivoluzione: «La revisione delle regole diventa inevitabile e sarà necessariamente molto, molto più profonda di quanto non si sarebbe fatto prima degli ultimi due anni». Dunque debito comune per fronteggiare la crisi energetica come si è fatto per il Covid con il Next Generation Eu.
Dunque interventi statali perché «come si possono attuare una transizione ecologica e energetica, una nuova politica della difesa, senza intervento dello Stato?». Dunque sospensione dei regolamenti che ostacolano la reazione alla crisi non solo energetica, a partire da quelli che impongono di mantenere non coltivato il 10% dei terreni.
Certo l’ex presidente della Bce è realista. Non immagina un blitz, parla di negoziato paziente in cui occorre a volte fare marcia indietro e poi tornare avanti». Ma la direzione è quella e il momento impone di imboccarla subito.
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Draghi in parlamento: «L’Italia non si volta dall’altra parte»Draghi resta fermo e drastico sui punti che sa essere oggetto di dubbi e disagi nella sua maggioranza. Non aiutare militarmente i Paesi attaccati equivarrebbe a difendere gli aggressori, sarebbe come giustificare tutti gli autocrati «a cominciare da Hitler e Mussolini». Sulle trattative insiste sul fatto che «bisogna essere in due per fare la pace» e Putin, che non ha scuse di alcun tipo, non intende farla.
Tra le righe il premier italiano sembra far capire che solo la sospensione delle ostilità varrebbe come prova di una sincera disponibilità a trattare. Sino a quel momento Putin sarà intenzionato solo, secondo le valutazioni dell’occidente, «a guadagnare terreno dal punto di vista militare». Draghi, infine, è tassativo sull’elevazione della spesa militare sino al 2% del Pil: «Vogliamo adeguarci all’obiettivo che abbiamo promesso alla Nato».
C’è un nesso inconfessato tra la rigidità estrema del premier sul fronte del confronto con la Russia e l’ambizione di cogliere l’occasione per rimodellare il dna dell’Unione. Draghi sa che sull’Italia e su di lui in persona pesano negativamente i sospetti iniziali di eccessiva morbidezza con Putin e intende fugarli una volta per tutte: «L’Europa all’inizio era cauta, soprattutto i Paesi più colpiti. Ma solo all’inizio. Poi non ci sono state più esitazioni, l’avete visto anche nel vostro presidente del consiglio».
Una volta ribadita l’inossidabile lealtà Draghi recupera però il senso pragmatico della realtà in due modi: sottolinea l’assoluta necessità di coinvolgere la Cina e ripete più volte che quello con la Russia non è e non deve essere un conflitto di civiltà. Sorvolando sul fatto che quando parla di scontro «tra democrazie e autocrazie» Biden proprio su quel piano pone le cose. Infine Draghi conferma la scelta italiana di appoggiare la richiesta ucraina di adesione alla Ue. Certo, senza forzare i tempi e rispettando le regole. Ma ugualmente l’appoggio di un Paese fondatore «fa una grande differenza».
Il premier, in definitiva, è sembrato senza dubbio consapevole delle tensioni che serpeggiano nella sua maggioranza. Però anche convinto che la partita davvero difficile e importante non la si gioca certo a Roma ma oggi a Bruxelles.
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