Dopo Singapore, nel mirino di Trump c’è l’Iran
Washington/Tehran Chiuso per ora il dossier nordcoreano, adesso l'Amministrazione Usa può dirigere tutta la sua aggressività in politica estera contro l'Iran, con il pieno sostegno di Israele e Arabia saudita.
Washington/Tehran Chiuso per ora il dossier nordcoreano, adesso l'Amministrazione Usa può dirigere tutta la sua aggressività in politica estera contro l'Iran, con il pieno sostegno di Israele e Arabia saudita.
Non fidarti, Trump ti tradirà come ha tradito noi. L’Iran, ferito dal ritiro degli Stati uniti dall’accordo internazionale sul suo programma nucleare (Jcpoa) e di nuovo bersaglio di pesanti sanzioni americane, ha provato per due giorni a mettere in guardia Kim Jong Un. Lunedì era stato Bahram Qassemi, portavoce del ministero degli esteri di Tehran, ad invitare la Corea del nord a «stare molto attenta». Ieri è stata la volta del portavoce del governo di Teheran, Mohammad Baqer Nobakht. «Siamo davanti a una persona (Trump) che, anche su un aereo, fa marcia indietro rispetto alla sua stessa firma. Non so con chi stia negoziando il leader nordcoreano. Ma questa persona non è un buon rappresentante per gli Stati Uniti», ha avvertito Nobakht riferendosi al passo indietro americano dall’accordo firmato nel 2015 dai cinque membri con diritto di veto del Consiglio di Sicurezza dell’Onu (più la Germania), con il pieno appoggio del precedente presidente americano Barack Obama. A Tehran la preoccupazione è che, chiuso per il momento il dossier nordcoreano, l’Amministrazione Trump concentri ora tutta la sua aggressività in politica estera sul “nemico” iraniano, sotto la spinta anche delle pressioni del governo israeliano. Con il rischio concreto che lo scontro diplomatico ed economico si trasformi presto o tardi in un conflitto militare.
I timori degli iraniani sono ben fondati, d’altronde le parole di Trump non lasciano dubbi. «Spero che al momento giusto, dopo le sanzioni che sono davvero brutali, l’Iran torni a sedere al tavolo dei negoziati; ora è troppo presto», ha detto il presidente Usa dopo il summit di Singapore. I negoziati che ha in mente l’inquilino della Casa Bianca hanno un unico obiettivo: riscrivere il contenuto del Jcpoa del 2015, per inserirvi forti restrizioni non solo alle attività nucleari ma anche allo sviluppo di missili balistici da parte degli iraniani in modo da ridurre le capacità difensive ed offensive di Tehran, a vantaggio di Israele che, forte anche del possesso (segreto) di armi nucleari, rafforzerebbe ulteriormente la sua supremazia strategica nella regione mediorientale. «C’è un’amministrazione diversa, c’è un presidente diverso, un Segretario di stato diverso…Per loro non era una priorità, per noi lo è», ha detto Trump marcando la differenza in politica estera con l’Amministrazione Obama.
La difesa europea del Jcpoa è un muro di argilla. Tehran lo sa e non si accontenta delle rassicurazioni dell’Alto rappresentante della politica estera dell’Ue, Federica Mogherini, che pure si è esposta a sostegno delle intese con l’Iran. Dietro le quinte alcuni leader europei, a cominciare dal francese Macron, discutono di una revisione dell’accordo in modo da accontentare almeno in parte Washington e Tel Aviv, nonostante l’Iran abbia più volte ribadito che le intese del 2015 non si toccano.
Riferendosi all’Iran, ieri il ministro della difesa israeliano Lieberman ha detto di augurarsi che l’accordo tra Trump e il leader nordcoreano «possa essere un buon esempio per altre nazioni e popoli». Per Israele quell’intesa avrà riflessi immediati sulla linea dell’Amministrazione nei confronti dell’Iran, tenendo conto anche del ruolo che giocheranno sostenitori del pugno di ferro come il Segretario di stato Mike Pompeo e il Consigliere per la sicurezza nazionale John Bolton. Si indebolisce di pari passo la posizione del presidente iraniano Rohani, il maggior sostenitore in patria del Jcpoa. I conservatori sostengono più che mai che ”negoziare” con l’Occidente sia stato un errore che l’Iran debba riprendere con il massimo della forza il programma nucleare e lo sviluppo dei missili. Keyhan, principale quotidiano oppositore della linea di Rohani, ieri un editoriale esortava a fare come la Corea del nord che non è scesa a patti ma ha sviluppato la bomba nucleare e i missili a lungo raggio ottenendo un riconoscimento di fatto da Donald Trump, a differenza dell’Iran che pur avendo firmato un accordo deve fare i conti con minacce degli Usa, di Arabia Saudita e Israele. A conti fatti, dice Keyhan, usare ”le buone” con l’Occidente è controproducente mentre con “le cattive” si raggiungono risultati concreti.
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