Sarebbe dovuta tornare in libertà dopo quattro anni di prigionia, ma a distanza di 72 ore dal giorno previsto del suo rilascio non si hanno ancora informazioni su Zhang Zhan. Arrestata nel maggio del 2020 per aver documentato e diffuso su diversi social network cosa accadeva durante le prime settimane della pandemia di coronavirus a Wuhan, la blogger e giornalista indipendente avrebbe dovuto finire di scontare lunedì la sua pena nel carcere di Shanghai. Ma di lei non si sa nulla. E questo la dice lunga sui tentativi del Partito comunista cinese di sopprimere il dibattito pubblico sulla pandemia di Covid.

Per mesi, mentre Wuhan e gran parte della Cina entravano in lockdown, ha realizzato videoreportage che mostravano ospedali affollati e residenti preoccupati per i loro redditi, a dispetto delle rassicurazioni promosse dagli organi del Partito sulla gestione sanitaria.

I diversi gruppi per i diritti umani, l’attivista Jane Wang della campagna ‘Free Zhang Zhan’ e il suo legale stanno vivendo ore di apprensione per le sorti della blogger, che è stata condannata a quattro anni di carcere per “disturbo della quiete pubblica” e per aver “provocato problemi”, un’accusa spesso usata in Cina contro dissidenti e attivisti per i diritti umani. Il suo avvocato Zhang Keke (tra i due non c’è alcun legame di parentela) non è riuscito a mettersi in contatto con la madre della blogger durante tutto il giorno del previsto rilascio. Da giorni, come denunciato in una dichiarazione firmata e resa pubblica da Jane Wang, la famiglia della citizen journalist è stata raggiunta da avvisi e ammonimenti affinché non rilasciasse interviste ai media. A diversi attivisti è stato impedito dalle autorità di raggiungere Shanghai e il centro di detenzione da dove sarebbe uscita Zhang. E poi, continua la fondatrice della campagna ‘Free Zhang Zhan’, se dopo il rilascio la blogger finirà ai domiciliari, avrà poche possibilità di ricevere le cure mediche di cui ha bisogno. Perché la 40enne Zhang, che ha sempre bollato la sua detenzione come ingiustificata, ha iniziato dal giorno dell’arresto un lungo sciopero della fame che l’ha portata a perdere oltre 30 chili ed essere così debole da non riuscire a tenere la testa dritta nemmeno da seduta.

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Contattata dal manifesto, l’attivista Jane Wang non ha nascosto il timore che la famiglia possa acconsentire a qualsiasi richiesta delle autorità cinesi pur di garantire a Zhang l’accesso alle cure necessarie. Oltre alle preoccupazioni sul suo stato di salute, c’è il timore che Zhang possa non ottenere completamente la libertà dopo il rilascio. Wang al manifesto sostiene che le autorità cinesi potrebbero trattenerla in un luogo designato, sconosciuto persino alla sua famiglia, fino a quando Zhang non accetterà le loro condizioni per il rilascio, ovvero la resa. E la mente corre subito al caso dell’avvocato per i diritti umani e figura di spicco nel movimento Weiquan, Jiang Tianyong, che è stato posto agli arresti domiciliari nel 2019 quando è stato rilasciato dal carcere; stesso copione applicato all’attivista per i diritti Chen Jianfang, finita nell’ottobre del 2023 sotto sorveglianza nella propria abitazione dopo aver scontato quattro anni e mezzo di detenzione nella prigione di Shanghai per “incitamento alla sovversione del potere statale”.

Quello che sta accadendo a Zhang ricorda quanto successo ad altri oppositori. Anche dopo il loro rilascio, il governo cinese ha tenuto sotto stretta sorveglianza domiciliare gli attivisti, i dissidenti e persino i loro familiari nella speranza che le loro azioni di denuncia venissero dimenticate. Ma gli appelli lanciati sui social su dove possa essere Zhang potrebbero rendere più complicati gli obiettivi del Partito comunista.