«Se guardi la realtà che ci circonda, è sempre più caratterizzata da una combinazione di assurdo, farsesco, terrorizzante e profondamente triste». Quello che Adam McKay (in un’intervista a GQ) chiama «lo stufato in cui affondiamo il cucchiaio tutti i giorni», è una descrizione che si adatta molto bene anche al suo ultimo film, Don’t Look Up, appena uscito nelle sale italiane, in arrivo oggi in quelle Usa e dal 24 dicembre su Netflix. Con una premessa da Armageddon, punteggiato di accenni che rimandano a Il dottor Stranamore e a Quinto potere come ai fratelli Marx e agli Zucker, Don’t Look Up sembra il punto d’arrivo di un percorso (in)naturale che ha portato McKay dalla leggendaria troupe comica chicagoana Second City, a una collaborazione sulla serie di Michael Moore The Awful Truth, al programma tv Funny or Die, al sodalizio creativo con Will Ferrell (Anchorman, Ricky Bobby e Fratellastri a 40 anni), ad affreschi feroci come La grande scommessa, Vice o, in televisione, Succession. La satira è il suo medium espressivo, da sempre.

MA È UNA SATIRA che, dai toni solari/demenziali della trilogia di commedie con Farrell – enormi successi di botteghino – si è fatta sempre più (precipitosamente negli ultimi anni) cupa, densa di fatalismo. Don’t Look Up, che in inglese vuole dire non guadare in su, è un film che non si scansa dall’abisso. Fittissimi di idee, sketch comici e personaggi, i lavori più recenti di McKay si distinguono anche per il cast, in genere un «whos’s who» dalla serie A hollywoodiana, attirata dalla scrittura, dalla succosità dei ruoli e, probabilmente anche in parte da un’affinità del punto di vista politico. Non sorprende quindi che Leonardo DiCaprio (ecologista doc) e Jennifer Lawrence abbiano accettato i ruoli non appariscenti di due astronomi del Michigan, il dottor Randall Mindy e la dottoressa Kate Dibiasky, scopritori di una cometa diretta verso la Terra a velocità supersonica. L’imminente distruzione del pianeta è il soggetto letterale e allegorico del film – la crisi ambientale è stata infatti il punto di partenza della sceneggiatura di McKay. Ma Don’t Look Up imbocca quasi subito una strada più ambiziosa, onnivora. Convocati alla Casa bianca nel cuore della notte, e poi parcheggiati/imprigionati a Washington in attesa di udienza, i due scienziati scoprono velocemente che i vertici del governo Usa, a partire dal Presidente Orlean (Meryl Streep) e da suo figlio, e capo di gabinetto, Jason (Jonah Hill), non vedono la catastrofe imminente sotto lo stesso punto di vista: ai loro occhi la cometa è infatti solo una variabile pericolosa in prospettiva delle elezioni di metà mandato.

LE COSE PEGGIORANO quando, per evitare che Orlean e i suoi insabbino il tutto, Mindy e Dobiasky (la cometa è battezzata con il nome di lei che l’ha avvistata per prima ma, in un ammicco di sceneggiatura, ha anche un carattere tempestoso) contattano direttamente «i media». Il talk show durante il quale i due dovrebbero rivelare l’imminente obliterazione del pianeta è condotto da Tyler Perry e Cate Blanchett, il sorriso congelato in una maschera di marmoreo ottimismo, inscalfibile come la chiacchiera che si palleggiano uno con l’altro e che neutralizza qualsiasi informazione non precotta e predigerita ad hoc, ideologicamente o fattualmente parlando. La trama complicatissima che si evolve da lì include un tour mediatico/celebrativo per Mindy e un terzo grado con l’FBI per Dobiasky; un multimiliardario ibrido di Elon Musk, Steve Jobs e Jeff Bezos (Mark Rylance) che vede profitto in una sostanza di cui è fatta la cometa; e Timothée Chalamet.

INCLUDE anche l’ipotesi paurosamente realistica in cui una porzione della popolazione comincia credere che la cometa non esista (don’t look up..). O, peggio ancora, a fregarsene. Il film di McKay affonda le zanne in troppe direzioni per il suo bene, e per soddisfare politicamente ed emotivamente la profondità del suo pessimismo. Ma i punti nevralgici ci sono tutti. E lo sgomento, non solo autentico ma toccante. Come succede oggi con le informazioni non precotte e predigerite ad hoc è stato accolto con ingiusta freddezza da buona parte della critica Usa.