Dl Paesi sicuri, l’iter accidentato di un decreto incerto
Muro a mare Tra le ipotesi fatte dal governo, trasformare il provvedimento in un emendamento al dl Flussi per accelerarne l'approvazione
Muro a mare Tra le ipotesi fatte dal governo, trasformare il provvedimento in un emendamento al dl Flussi per accelerarne l'approvazione
La bulimia da decreto del governo Meloni già da tempo sta mettendo in mostra i suoi effetti avversi. Ogni questione meritevole di soluzione normativa viene affrontata in una logica emergenziale – appunto con un decreto o un articolo in un decreto omnibus – con scelte dubbie sul piano normativo e perfino pasticciate sul piano procedurale. Uno di tali pasticci che ha coinvolto le procedure parlamentari si è verificato nei giorni scorsi per il cosiddetto decreto Paesi sicuri e vale la pena raccontarlo per i suoi aspetti grotteschi.
Come si ricorderà a seguito della decisione del Tribunale di Roma di non consentire il trasferimento nel Cpr in Albania di 12 migranti provenienti da Egitto e Bangladesh, il governo decise il 19 ottobre scorso di emanare un decreto in cui inserire l’elenco dei Paesi sicuri, così che – si asserì – il magistrato italiano applicasse una norma primaria italiana, ignorando la giurisprudenza europea. Al netto della validità di questa convinzione, nel fine settimana gli uffici legislativi dell’Interno e della Giustizia lavorarono al testo che lunedì 21 fu licenziato dal Consiglio dei ministri, con l’intento dichiarato di portarlo alla firma del Quirinale e promulgarlo in Gazzetta la sera stessa.
La firma del Quirinale è giunta solo mercoledì 23 ottobre. Evidentemente la prima formulazione del testo era talmente maldestra da non essere emanabile. Ebbene: il 23 pomeriggio il decreto Paesi sicuri è stato pubblicato in Gazzetta, il che obbliga a trasmetterlo immediatamente al Parlamento per la sua conversione. La promessa di un esame di questo provvedimento era stata fatta ai senatori della maggioranza della Commissione Affari costituzionali guidati dal meloniano Alberto Balboni: infatti si lamentano di una loro marginalizzazione rispetto ai colleghi della Camera, dopo l’euforia dell’approvazione del premierato e dell’Autonomia differenziata. In effetti ora è tutto a Montecitorio: la separazione delle carriere, la legge sul danno erariale per velocizzare il Pnrr, il decreto flussi…
E qui arriva il primo elemento grottesco: a Palazzo Madama non era prevista più alcuna seduta prima della settimana successiva nella quale incardinare il nuovo decreto. Ne era stata calendarizzata una martedì 22 esattamente con all’ordine del giorno «Comunicazione, ai sensi dell’articolo 77, secondo comma, della Costituzione, della presentazione di disegni di legge di conversione di decreto-legge». Nella propria prosopopea il governo pensava che il decreto Paesi sicuri fosse pubblicato in Gazzetta il 21 e il 22 incardinato a Palazzo Madama.
Che fare dunque, visto che lo slot parlamentare era passato? L’esecutivo lo ha presentato alla Camera nella seduta del 23 ottobre, visto che invece Montecitorio stava lavorando. Gli uffici gli hanno assegnato un numero progressivo (il 2113, con cui lo si può trovare sul sito della Camera) e lo hanno assegnato per l’esame alla Commissione Affari costituzionali, guidata dal forzista Nazario Pagano.
Cambiato il programma il governo aveva pensato di far partire formalmente il decreto in Commissione, salvo poi trasformarlo in un emendamento al decreto flussi che verrà convertito in legge prima. Le richieste dei senatori – che saranno esclusi anche dall’esame della legge di Bilancio, il cui iter inizia alla Camera – ha spinto il governo a fare un nuovo goffo dietro front. Lunedì scorso il decreto è stato ritirato dalla Camera (come risulta dal sito) con l’annuncio di presentarlo nell’altro ramo del Parlamento; dove ieri si è finalmente tenuta una seduta in cui si è svolto l’incardinamento: habemus decretum.
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