Direttori dei Musei Nazionali: si può chiedere competenza?
In attesa delle nomine Dagli Uffizi alla Galleria Nazionale d’Arte Moderna, a Capodimonte, i grandi musei avranno a breve i nuovi direttori: la politica riuscirà a fare un passo di lato, in nome della cultura?
In attesa delle nomine Dagli Uffizi alla Galleria Nazionale d’Arte Moderna, a Capodimonte, i grandi musei avranno a breve i nuovi direttori: la politica riuscirà a fare un passo di lato, in nome della cultura?
Ho sempre avuto una sorta di reticenza a mescolare la mia professione con la politica, nonostante abbia collaborato con giornali schierati con fermezza, prima con Montanelli e ora su queste pagine – dopo aver passato molti anni su un foglio più neutrale, Il Sole 24 ore. Innanzitutto perché, nonostante io sia cittadino italiano dal 1981, ho sempre sentito un certo imbarazzo per i compromessi storico-politici di diverso genere: provengo da un paese in cui la politica era collegata, per me, alla regressione culturale.
Sono molti anni, comunque, che scrivo sui quotidiani italiani, e in qualche occasione mi sono sentito costretto a polemizzare: ho vergato qualche articolo giudicando, spero correttamente, interventi di vari colleghi nei musei che non mi apparivano giustificabili, e quegli scritti non sempre sono stati apprezzati dai personaggi in questione. Le mie parole riferite a una proposta della celebre Gae Aulenti, ad esempio, suscitarono una reazione adirata dell’architetto. La Aulenti aveva portato a termine un museo a Parigi, situato nella Gare d’Orsay e dedicato all’arte moderna, ed era decisa a realizzare una riforma degli interni del Palazzo del Quirinale, prima reggia dei papi, poi dei Savoia, e infine dei Presidenti della Repubblica, con metodi che mi apparvero brutali. Lo scrissi, e a infuriarla fu soprattutto una mia frase: «Aulenti ha fatto diventare una stazione di treni un museo, speriamo che ora non trasformi un palazzo in una stazione di treni». Non mi rivolse più la parola. Ma l’idea di distruggere un edificio storico, di cui avevo da poco redatto il catalogo dei magnifici arredi e che mi appariva degno di mantenere il suo aspetto, era per me inaccettabile. Forse in Italia si ha un certo imbarazzo, o paura vera e propria, nei confronti della storia, che non può mai essere ignorata, che ci piaccia o no e che sia fonte di guadagni o meno.
Rimasi ammirato invece dalla sistemazione della Galleria Corsini a Roma che in passato era stata messa in ordine da Sivigliano Alloisi, un direttore (scomparso nel 2018) non particolarmente noto, ma che si era dimostrato estremamente intelligente nella sua scelta di ripristinare la quadreria e gli arredi così come erano stati in antico. Si sa che i principi Corsini, all’epoca dell’Unità d’Italia, avevano donato la loro collezione allo Stato. Lo Stato, d’altra parte, non sempre si è dimostrato consapevole o grato dei capolavori ricevuti e ha consentito usi e abusi poco attenti spedendo decine di oggetti e opere d’arte ad ambasciate, consolati ed edifici di altro ordine, addirittura in paesi remoti (ricordo qui che una mia cara amica ritrovò all’ambasciata di Teheran dei mobili provenienti dalla corte di Parma).
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Agli Stati generali della cultura di destra una riunione di famiglia postmissinaLa cosiddetta Galleria Nazionale di Arte Antica a Roma è composta da due musei patrizi, Palazzo Barberini e Palazzo Corsini, appunto. Qualcuno decise che sarebbe stata una buona idea smontare Palazzo Corsini e unirlo, benché solo parzialmente, a quel che restava delle collezioni Barberini – non molto peraltro, visto che nel 1934 si erano concesse l’esportazione e la vendita di quello straordinario insieme, del quale ci restano oggi solo degli avanzi, regalati al posto di quel che partiva.
Ultimamente non si fa che parlare della nomina dei prossimi direttori di alcuni fra i musei più importanti d’Italia, dagli Uffizi a Capodimonte, alla Galleria Nazionale d’Arte Moderna, a Roma. Inutile dire che le polemiche incalzano, anche in modo pesante. Per quanto mi riguarda non mi dà alcun fastidio l’indirizzo politico di alcuni dei candidati: ciò che per me conta non è il fatto che siano di destra o di sinistra. Quel che significherà qualcosa per il paese sono la capacità e la formazione di questi candidati. Non bisognerebbe dimenticare quel che nel secolo scorso è accaduto in altri paesi d’Europa: a Londra vennero scelti direttori che erano professori, conoscitori o grandi storici dell’arte come Kenneth Clark o John Pope-Hennessy, e più recentemente Nicholas Penny. Al Prado e in altre istituzioni spagnole del genere sono passati personaggi illustri come Diego Angulo e il più grande critico d’arte spagnolo del Novecento, Alfonso Pérez Sánchez; al Louvre Michel Laclotte e poi Pierre Rosenberg, ambedue famosi anche da noi. La lista potrebbe continuare per il resto d’Europa, e anche per l’America, senza dimenticare che il fondatore dei musei tedeschi era uno studioso esemplare, Wilhelm Bode.
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J.R.R. Tolkien, scorretto l’abbraccio da parte della destraAnche noi in passato abbiamo avuto personaggi di prim’ordine: si comincia con Adolfo Venturi, fondatore di vari musei e compilatore dei quaranta volumi sulla storia dell’arte in Italia. Che accade oggi? Devo ammettere che alcuni dei nomi proposti ora mi sono ignoti, altri noti, altri ancora potrebbero andar bene, ma la mia speranza è che si scelgano persone che siano in grado di occuparsi con cognizione di causa di quelli che sono fra i più bei musei della terra e che sappiano come trattare i pilastri della conoscenza storica della nostra civiltà e non solo servire da animatori per eserciti di turisti.
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