Dino Budroni, aria nuova in appello «Omicidio colposo o volontario?»
Abusi in divisa Al via il processo di secondo grado. Il poliziotto ha sparato accettando il rischio di uccidere? La Corte apre lo spiraglio atteso dai familiari della vittima
Abusi in divisa Al via il processo di secondo grado. Il poliziotto ha sparato accettando il rischio di uccidere? La Corte apre lo spiraglio atteso dai familiari della vittima
Sono usciti con un accenno di sorriso sulle labbra i familiari di Dino Budroni dall’aula della Corte d’appello di Roma, dove ieri si è tenuta la prima udienza del processo di secondo grado sulla morte del loro congiunto. La Corte ha rinviato la trattazione al 14 novembre, ma con il rinvio ha rivolto un invito alla parti tutt’altro che insignificante, chiedendo che si discuta in via preliminare un tema che era stato sottoposto dai familiari di Budroni già nel corso del primo grado: quello di Budroni è stato un omicidio colposo o un omicidio volontario, quindi commesso con dolo? Il poliziotto ha sparato accettando il rischio, possibile o probabile, di colpirle l’uomo?
È necessario fare un passo indietro, perché in realtà la sentenza di primo grado aveva descritto uno scenario completamente diverso. L’agente, per il giudice estensore, aveva sì sparato colpendo mortalmente Budroni a seguito di un inseguimento sul grande raccordo anulare di Roma, ma era stato assolto per uso legittimo delle armi.
Oltre alla decisione presa in primo grado, sono le motivazioni a risultare non pienamente comprensibili da un punto di vista logico. Il giudice, infatti, sposa la tesi dell’avvocato della difesa per cui lo sparo sarebbe avvenuto quando le autovetture erano ancora in movimento – l’agente imputato ha sempre dichiarato di aver mirato agli pneumatici – ma poi riporta le testimonianze di uno dei carabinieri intervenuti che ha dichiarato di aver sentito gli spari quando tutti i mezzi erano quasi praticamente fermi.
Oltre a questo, il giudice ha ritenuto di esaminare il caso «nel suo complessivo svolgimento e non già soltanto nell’ultima fase». Come a dire: non ho provato che il pericolo fosse attuale e concreto, ma dato il comportamento di Budroni nelle fasi precedenti, l’agente ha fatto bene a sparare. Lo stesso giudice dovrebbe sapere, però, che nel nostro Paese non è più in vigore la pena di morte, e che se anche Budroni quella notte avesse commesso dei reati, avrebbe dovuto avere la possibilità di presentarsi davanti a un tribunale ed essere giudicato. Per questo l’udienza di oggi è stata accolta con soddisfazioni dalla famiglia, che ha visto nelle parole della Corte un segno di estrema attenzione fino a questo momento sempre negata.
La qualificazione del reato non è cosa di poco conto. Il dolo, anche cosiddetto eventuale, comporta la competenza per materia della Corte d’assise per la sua maggiore gravità, e la relativa trasmissione degli atti per rifare il processo di primo grado. La Corte d’appello si è posta un problema che rimette quindi in discussione non solo l’esistenza della responsabilità del poliziotto ma anche la gravità della stessa. La micidialità dell’arma da fuoco come strumento da utilizzare solo in caso di assoluta necessità e come estrema ratio è evidentemente un tema con il quale oggi la Corte ha deciso di confrontarsi.
La sentenza di primo grado aveva parlato di una potenziale inoffensività dell’azione di sparo verso l’auto di Budroni e di accidentalità della sua morte, e sia il pubblico ministero sia le parti civili si erano appellate ritenendo del tutto erronea quella decisione. Ieri è stata addirittura riconosciuta come preliminare e dirimente la questione sottoposta dalle parti civili circa la corretta qualificazione del reato di omicidio, ritenendo meritevole di discussione il tema dell’omicidio volontario.
In attesa della decisione della Corte, e dell’inizio del processo vero e proprio, pensiamo che ieri sia stato dato alla famiglia di Budroni un motivo, per quanto esile e precario, di recarsi nuovamente in un’aula di tribunale con un sentimento di rinnovata fiducia nella giustizia.
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