«Dietro la popolarità di Hamas i gravi errori di Abu Mazen»
Intervista L'analista Hamada Jaber: la decisione di Abu Mazen di rinviare le elezioni palestinesi è un fattore centrale di ciò che vediamo in questi giorni.
Intervista L'analista Hamada Jaber: la decisione di Abu Mazen di rinviare le elezioni palestinesi è un fattore centrale di ciò che vediamo in questi giorni.
Quanto avvenuto ieri sulla Spianata della moschea di Al Aqsa a Gerusalemme è la rappresentazione dell’enorme popolarità conquistata tra i palestinesi dal movimento islamico durante l’escalation militare e del crollo della credibilità dell’Autorità nazionale palestinese (Anp) del presidente Abu Mazen. La folla ha costretto il Mufti, Mohammed Hussein, nominato dall’Anp, ad interrompere il sermone del venerdì e a lasciare il luogo sacro tra offese e slogan come «Siamo tutti soldati di Mohammed Deif», il capo del braccio armato di Hamas. Ne abbiamo parlato con Hamada Jaber, analista del Palestinian Center for Policy and Survey Research di Ramallah,
Hamas sta incassando, a danno dell’Anp, consensi enormi grazie allo scontro militare con Israele. Uno dei suoi capi, Ismail Haniyeh, dice che il movimento islamico è riuscito a vanificare la normalizzazione tra lo Stato arabo e il mondo arabo
Hamas gode di livelli di consenso eccezionalmente elevati in questo momento, anche tra palestinesi che non fanno parte dei suoi ranghi e che non sono suoi simpatizzanti. Di riflesso l’Anp di Abu Mazen vive una delle fasi più difficili della sua esistenza. Non è legato solo all’attacco israeliano a Gaza e alle capacità militari mostrate da Hamas. La decisione di Abu Mazen di rinviare le elezioni palestinesi (previste il 22 maggio, ndr) è un elemento centrale di quanto vediamo in questi giorni. Non votare è stato un errore e Hamas conquista nuovi sostegni a causa anche di quello.
Capacità militari che però non hanno cambiato la situazione di Gaza che resta sotto blocco israeliano e la popolazione ora fa i conti con le conseguenze degli 11 giorni di bombardamenti aerei. Un dato che non tarderà ad emergere al termine dell’euforia della «vittoria» su Israele di cui parla Hamas.
Vero, ma il movimento islamico non è entrato in questa guerra con Israele per la chiusura di Gaza e per i diritti della sua gente. Hamas ha detto di voler difendere Gerusalemme, la Spianata di Al Aqsa e le famiglie palestinesi che rischiano l’espulsione da Sheikh Jarrah. Per questo ha ottenuto un consenso trasversale, non più confinato alle roccaforti islamiste. A molti nei Territori occupati non è sfuggito che il presidente Abu Mazen da un lato ha annullato le elezioni sostenendo che non si poteva votare senza la partecipazione dei palestinesi di Gerusalemme (non autorizzati da Israele, ndr) e dall’altro non ha mosso un passo per sostenere le famiglie di Sheikh Jarrah o per ottenere la protezione dei fedeli sotto attacco della polizia sulla Spianata di Al Aqsa e alla Porta di Damasco.
Abu Mazen è più debole ma l’Unione europea e gli Stati uniti si rivolgono sempre a lui per discutere di quanto accade nelle strade.
Devo dire che ho trovato strano che americani ed europei si rivolgessero a lui, che non poteva far nulla, per il cessate il fuoco tra Gaza e Israele. I prossimi tempi saranno importanti per il destino dell’Anp, la mobilitazione popolare palestinese che si è vista a Gerusalemme, in Cisgiordania e in varie cittadine di Israele forse è stata solo la punta dell’iceberg.
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