Le crisi possono cambiare i contesti di riferimento, oppure metterne in luce i tratti profondi senza però alterarne gli elementi costitutivi. Nel primo caso funzionano da “agenti” mentre nel secondo da “reagenti”. In attesa degli effetti del primo tipo, le dichiarazioni dei partiti alla caduta del governo Draghi mettono bene in evidenza identità e interessi delle forze politiche in campo. Le reazioni rispetto al defunto corpo del Re – metaforicamente esposto nella camera ardente della politica – sono veri e propri segnali intenzionali, rivolti sia all’interno dei partiti sia verso l’esterno. Segnali che posizionano chi li emette in un preciso campo organizzativo.

Il primo evidentissimo segnale è l’investimento simbolico del Pd verso la cosiddetta «Agenda Draghi», assurta a canone politico e identitario del partito nelle parole del suo segretario: «L’Italia è stata tradita. Il partito democratico la difende. E tu sei con noi?», è il tweet di Enrico Letta nel tardo pomeriggio dello scorso 22 luglio. Un’affermazione nettissima che chiude ogni rapporto con Conte, il traditore della patria e del governo così fortemente voluto da Mattarella e di cui il Pd è stato il più convinto sostenitore.

Del resto, l’Agenda Draghi viene invocata in modo analogo dal polo politico in teoria opposto, da Michele Boldrin di “Liberi e Oltre” con un articolo su Il Foglio, sempre del 22 luglio. Un’Agenda fortemente sostenuta dalle élite e da quella che comunemente viene definita borghesia urbana Ztl, zoccolo duro dell’elettorato Pd. Un elettorato che non nasconde il fastidio per le rozze richieste degli abitanti delle periferie, come anche per il ceto medio in squilibrio di status che ha alimentato la classe dirigente del Movimento 5Stelle.

È questo un posizionamento che rimanda al tentativo di guadagnare al centro e a destra più di quanto si perde o non si guadagna a sinistra. Una tattica anni ’90, che guarda prevalentemente ai “ceti produttivi” del Nord – come a ribadire il non conflitto tra capitale e lavoro – prima che al disagio e alle diseguaglianze provenienti dalle aree marginalizzate e dai gruppi subalterni. Territori e gruppi sociali probabilmente dati per persi, in mano alla destra populista di FdI o a ciò che rimane del Movimento 5Stelle.

Una posizione che pone il Pd in concorrenza con la Lega di Giorgetti, con il centro padronale di Calenda e con l’elettorato renziano, all’interno dello stesso campo e in competizione per lo stesso elettorato. Il vessillo dell’agenda Draghi, qui, assume la stessa funzione che spesso hanno i brevetti per le imprese innovatrici: proteggere il proprio campo dalla concorrenza con la funzione di “bloccare” le strategie altrui che insistono su quello stesso perimetro.
La protezione di questi interessi indica anche una precisa scelta identitaria del Pd, formulata in un “mercato politico” molto segnato dall’incertezza e dove la sconfitta è molto più che probabile. Scelta che lascia davvero poco spazio alla flebile voce della sinistra del partito che tenta di trasformare l’agenda Draghi in una “agenda sociale”. Operazione per la quale non sarebbe sufficiente neanche la pietra filosofale!

La crisi come “reagente” richiama in vita le strutture latenti dei partiti, le loro identità durevoli e pregresse: dai posizionamenti simbolici di Salvini con la collezione di rosari e icone sacre, al milione di alberi di Berlusconi con le immancabili promesse sulle pensioni. In questo gioco di specchi, non mancano i segnali di “conversione”: dall’atlantismo di Di Maio alle scelte di Gelmini e Carfagna. Dal canto suo, Conte manda segnali incerti, in sintonia con lo stato di confusione identitaria e strategica del Movimento. La chiusura di ogni alleanza col Pd deve ancora maturare le sue conseguenze che, molto probabilmente, avranno effetti a cascata.

A sinistra del Pd, si oscilla tra la tentazione rosso-verde di svolgere il ruolo di “sinistra per procura” – in un contesto dove la legge elettorale premia effettivamente le tattiche di coalizione a discapito della convergenza sui programmi – senza affrontare la contraddizione tra il dirsi contro l’Agenda Draghi e contemporaneamente allearsi con il suo principale sostenitore. In tutto questo, Fratelli d’Italia, giustamente, non si muove: per chi può farlo, è la tattica più intelligente. In un contesto di questo tipo, come mostrano le intenzioni di voto e gli scenari di Youtrend/Istituto Cattaneo, conviene giocare di rimessa, capitalizzando sugli errori e contraddizioni altrui.

L’unica vera novità, in questa situazione, consisterebbe nell’ignorare i vincoli della legge elettorale e le alleanze forzate che questa impone, cercando al contrario di costruire una proposta di progetto e di coalizione capace di superare indenne la sconfitta che si profila alle politiche del 25 settembre, con uno sguardo lungimirante e strategico. Perché più che dell’Agenda Draghi, ciò di cui si sente la mancanza da tempo è un’agenda politica di sinistra.