«Hanno sparato a un ragazzo qua vicino. Dicono a Yatta». La notizia dell’uccisione di Fouad Ismail Mahmoud Abu Subha arriva verso mezzogiorno a sud di Hebron. Poco prima all’ingresso della città palestinese più a sud della Cisgiordania un gruppo di ragazzi si è scontrato con l’esercito israeliano.

Lancio di pietre, poi gli spari. La vittima, 23 anni, era un disabile cognitivo. È il quinto palestinese ucciso ieri dall’esercito israeliano tra Gerusalemme est e Cisgiordania, il 120esimo dal 7 ottobre.

GLI ALTRI quattro sono stati colpiti nel campo profughi di Jenin, nell’ennesimo raid militare degli ultimi mesi. All’alba l’esercito si è presentato a bordo di un centinaio di veicoli blindati e due bulldozer per un’«operazione di antiterrorismo» per arrestare dei sospetti. Probabilmente membri della Brigata Jenin, gruppo combattente di mista appartenenza politica che da mesi presidia il campo.

Durante il raid droni militari hanno sorvolato le case e i vicoli stretti, i cecchini si sono posizionati sui tetti degli edifici intorno al più grande ospedale di Jenin. Una parte delle mura esterne della struttura sono state danneggiate dai bulldozer.

Scene simili a quelle della scorsa settimana quando i bulldozer hanno distrutto due intere strade del campo (una dedicata alla giornalista di al Jazeera Shireen Abu Akleh, uccisa dai soldati israeliani l’11 maggio 2022, proprio in quel punto) e sradicato le condutture dell’acqua.

Ieri all’alba l’ingresso del campo, il doppio arco che ne segnava l’inizio, è stato abbattuto dai veicoli militari: sopra c’era scritto «Jenin Camp, una stazione di attesa del ritorno».

È stata portata via anche la statua di un cavallo, simbolo del campo, costruita con i resti delle ambulanze distrutte nei giorni terribili dell’invasione israeliana del 2002, in piena seconda Intifada. E poi strade distrutte, negozi danneggiati, case colpite. Una devastazione che aumenta a ogni raid.

IN QUELLO di ieri sono stati feriti nove palestinesi, quattro gli uccisi. Si tratterebbe di tre membri della Brigata Jenin e di un ragazzino di 14 anni, Musa Khaled Jabarin.

«All’alba le forze di occupazione hanno attaccato il campo di Jenin e hanno iniziato a distruggere l’ingresso principale – ci racconta al telefono Gadheer, tra i responsabili del progetto Aowa, nato in collaborazione con l’organizzazione perugina Ponte Solidale – Hanno tagliato l’elettricità ad alcuni quartieri della città mentre compivano l’incursione. Si sono sentite forte esplosioni».

«Una sorta di missile – dice Gadheer – ha colpito la casa della coordinatrice della nostra associazione, Tahani al-Ghoul, l’ha semidistrutta. Lei è rimasta ferita, anche il marito e la figlia sono stati feriti». Le immagini che ci invia raccontano i danni: una finestra in frantumi, la porta sfondata, un lampadario in pezzi e calcinacci sul pavimento.

Nella casa accanto vive Maryam, una delle donne del progetto di Aowa: nato anni fa tra le donne del campo di Jenin per produrre saponi all’olio d’oliva e al timo. Poi hanno avviato un laboratorio per distillare loro stesse gli olii essenziali per i saponi. Il progetto è cresciuto fino all’affitto di un campo su cui coltivare le erbe necessarie alla distillazione.

«MARYAM lavora nel laboratorio e vive nel campo. Il figlio, Musa, è stato colpito in strada. È morto. Aveva appena 14 anni, andava a scuola», racconta Gadheer. Maryam ha rincorso i soccorritori urlando, mentre poggiavano il figlio sulla barella, ormai senza vita.

Quasi in contemporanea a Gerusalemme, un giovane palestinese ha colpito e ferito con un coltello un poliziotto di frontiera di 40 anni. È stato inseguito da altri agenti e ucciso a colpi di arma da fuoco.