Deportati i primi miliziani Isis, l’Europa non vuole processarli
Medio Oriente Erdogan estrada nove tedeschi e un britannico, la Germania apre inchieste ma non arresta. Parigi propone un tribunale in Iraq, Washington rifiuta. La gestione dei foreign fighters destinata a esplodere
Medio Oriente Erdogan estrada nove tedeschi e un britannico, la Germania apre inchieste ma non arresta. Parigi propone un tribunale in Iraq, Washington rifiuta. La gestione dei foreign fighters destinata a esplodere
La gestione dei foreign fighters dello Stato Islamico arrestati in questi anni tra Siria e Iraq era destinata a esplodere. Lo fa in questi giorni, per mano dell’uomo che ha permesso all’Isis di espandersi e radicarsi in Medio Oriente.
Il presidente turco Erdogan sta rispedendo indietro i miliziani stranieri arrivati in Siria e Iraq da mezzo mondo. Estradizioni a senso unico, uno tsunami giuridico nei paesi riceventi. Quelli che, va ricordato, hanno fatto ben poco per impedire le partenze.
A costringerli ad assumersi la responsabilità di una delle più abnormi violazioni contemporanee dei diritti umani è Erdogan, che non solo ha chiuso un occhio sul via vai di islamisti al confine, ma che li ha riforniti di armi come mostrato dall’inchiesta di Cumhuriyet costata al direttore Dundar e al capo redattore Gül tre mesi di carcere.
Ieri a Berlino sono sbarcati nove appartenenti tedeschi all’Isis: sei donne e un bambino, ma anche due uomini. La Germania (da cui sarebbero partiti 1.050 miliziani, di cui 200 uccisi e 350 rientrati) era stata informata degli arrivi. Ma non li arresterà a meno che Turchia, Siria o Iraq non forniscano prove dei crimini commessi fuori dai confini tedeschi. La Procura generale tedesca ha comunque aperto un’inchiesta come accaduto per altri 33 prima di loro.
Diversa la situazione in Gran Bretagna (900 miliziani partiti), dove ieri è arrivato un 26enne: accusato di appartenenza allo Stato Islamico, è stato arrestato all’aeroporto di Heathrow. E poi c’è lo statunitense, deportato da Ankara pochi giorni fa per rimanere bloccato in Grecia: Atene ne ha rifiutato l’ingresso e ora si trova nella no man’s land tra Turchia e Grecia in attesa di essere trasferito negli Stati uniti.
Nelle carceri turche sarebbero rinchiusi quasi 1.500 stranieri tra miliziani e familiari, tutti destinati al rimpatrio (perché «la Turchia non è un albergo», ha detto il ministro degli Interni Soylu). Molti di più quelli detenuti nelle carceri irachene e nei centri di detenzione curdo-siriani nel Rojava.
Di loro che si farà? La risposta internazionale è contraddittoria. Nessuno vuole riprenderseli – con le rare eccezioni di Kosovo e Marocco – e qualcuno gli ha tolto la cittadinanza (Gran Bretagna e Australia).
Ma lasciare un simile peso sulle spalle di Iraq e Siria è impensabile. Ne ha discusso giovedì a Washington la coalizione internazionale anti-Isis. Di scena è andata la spaccatura tra Casa bianca ed Europa: la prima vuole che gli europei si facciano carico dei propri miliziani, la Francia esplora altre vie.
Se è in corso una trattativa ben poco limpida tra Parigi e Baghdad (denaro in cambio della detenzione dei miliziani francesi), il presidente Macron ha in serbo un’idea «globale»: una corte internazionale con giudici di diversi paesi da aprire a Baghdad per giudicare lo Stato Islamico. Troppo costosa e inefficace, risponde Washington.
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