Internazionale

Big Lie, Fox patteggia un risarcimento da 800 milioni di dollari

Big Lie, Fox patteggia un risarcimento da 800 milioni di dollariNew York, una manifestazione sotto la Fox Corporation in occasione del processo Dominion contro Fox – foto Ap

Stati Uniti Rupert Murdoch e la sua Fox News accettano di pagare un maxi risarcimento per la "Grande bugia" elettorale del 2020 sul falso malfunzionamento dei terminali per il voto

Pubblicato più di un anno faEdizione del 19 aprile 2023
Luca CeladaLos Angeles

Versione aggiornata rispetto al giornale in edicola con le ultime notizie della notte.

È stato patteggiato in extremis il processo per diffamazione in cui la Dominion, società produttrice di terminali per il voto elettronico, aveva chiesto all’emittente conservatrice Fox News danni per 1.600 milioni di dollari.

L’accordo raggiunto dagli avvocati poche ore dopo l’inizio ufficiale del dibattimento in Delaware, prevede un pagamento di 787,5 milioni di dollari come risarcimento per le calunnie diffuse dall’emittente sui terminali forniti dall’azienda a molte circoscrizioni in vari stati americani nelle elezioni presidenziali del 2020.

Nello specifico, l’emittente ha ripetutamente affermato che i dispositivi erano stati programmati per modificare voti repubblicani in preferenze per Joe Biden.

Le accuse furono parte integrante della “Big Lie”, la Grande Bugia promossa da Donald Trump dopo aver perso le elezioni. Trump si è sempre rifiutato di riconoscere il verdetto delle urne, montando da subito una campagna (peraltro ampiamente annunciata nei mesi precedenti alle elezioni) incentrata sul falso complotto delle “elezioni rubate.”

COME PARTE dell’offensiva coordinata dalla squadra legale di Trump, una processione di portavoce ha inondato i media con accuse di ogni genere: “vasti brogli,” morti votanti, torpedoni di immigrati clandestini “importati” nottetempo per votare Biden, fantomatiche scatole di schede false e interferenze cinesi.

Fra queste, la storia lanciata dallo stesso Trump sui terminali Dominion riprogrammati per “virare” automaticamente il voto delle schede repubblicane, è stata una delle tesi che più ha fatto imbestialire la base ultra-conservatrice, contribuendo a scagliare le orde del 6 gennaio all’assalto del Campidoglio.

Tutti eventi già ripercorsi durante il secondo processo di impeachment dell’ex presidente senza però riuscire ad inchiodare Trump alle sue responsabilità etiche.

La conclusione patteggiata della causa non ha impedito che venisse stabilito, come molti auspicavano, “a norma di legge” un nesso causale fra lo tsunami di complottistica, negazionismo e distorsioni antiscientifiche amplificate dalla macchina propagandistica della Fox e la diffusione dei movimenti populisti reazionari che ne hanno beneficiato.

Il risarcimento, accompagnato dall’ammissione da parte di Fox che “alcune affermazioni sul conto della Dominion erano false”, hanno tuttavia ampie implicazioni anche per la responsabilizzazione della “pseudo informazione” adottata come “business model”.

Si tratta di una simbiosi su cui la Fox ha lucrato per decenni ma per cui dovrà ora pagare un conto assai salato (sebbene sia circa la metà della richiesta originale).

La reputazione dell’emittente “portavoce” della destra Usa esce inoltre profondamente danneggiata da tutta la faccenda, soprattutto dagli elementi emersi dalle indagini pre-processuali, in particolare i messaggi fra gli “anchor” della Fox che privatamente deridevano le falsità di Trump cui invece davano ampio spazio in telegiornali e talk show.

NORMALMENTE il “dolo diffamatorio” risulta assai difficile da provare per la legge americana, fortemente tarata a favore libertà d’espressione. Ma in questo caso gli sms citavano esplicitamente la necessità di perseguire la narrazione dei brogli in assenza di alcuna prova, per appagare gli spettatori (e proteggere i fatturati). Sarebbe così comprovato il requisito di “effettiva malafede” necessario a una condanna.

Considerazioni che hanno certo pesato nella decisione di Fox di patteggiare onde evitare ulteriori pubbliche umiliazioni.

NELLE FASI pre-dibattimentali la squadra legale di Murdoch aveva poi commesso alcuni clamorosi errori strategici, fra cui l’occultamento di prove e la tentata protezione di Rupert Murdoch affermando falsamente che il fondatore della Fox non ricoprisse alcun ruolo nella direzione della divisione news dell’emittente. E già solo le fasi preliminari hanno comunque fortemente leso l’immagine Fox, da anni il megafono mediatico del partito repubblicano e di Trump la cui linea editoriale ha obliterato le distinzioni fra notizie e propaganda (alcuni dei giornalisti, come Sean Hannity, sono stati veri e propri consulenti della Casa bianca di Trump).

La capitolazione della Fox (che dovrà comunque fare fronte ad un’analoga azione legale intentata da una altro costruttore di terminali per il voto, la Smartmatic, che chiede un risarcimento di ben 2.700 milioni di dollari), segna un possibile declino del modello post-news e dell’ascendente del novantaduenne magnate.

Dopo il processo per falso in bilancio che ha recentemente costretto lo stesso Trump ad accomodarsi dietro al banco degli imputati, l’ammissione di Fox suggerisce anche il crepuscolo di una generazione di anziani patriarchi dell’infotainment.

A questo proposito un editoriale di Maureen Dowd sul New York Times ha sottolineato la dimensione shakesperiana della caduta del padre-padrone della Fox ed i paralleli fin troppo scontati col magnate televisivo Logan Roy, che gli autori di Succession hanno plasmato proprio su Murdoch.

UNA NARRAZIONE cui fa eco, aggiungeremmo, anche la vicenda nostrana del Re Lear di Arcore. Ogni vicenda è destinata ad innescare lotte di successione per complicate eredità non solo aziendali. Per le famiglie, ma anche per le democrazie che per sopravvivere dovranno trovare il modo di allentare la presa dei sovrani assoluti dei media – e ora sempre di più dei social – sulla giugulare dell’informazione.

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