«Li ringrazio, ma avrebbero dovuto fare pressioni prima sugli israeliani per impedire la demolizione della mia casa». È una magra consolazione per Fakri Abu Diab, storico attivista contro l’espulsione delle famiglie palestinesi dal quartiere di Silwan ai piedi della città vecchia di Gerusalemme, la condanna giunta dall’Amministrazione Biden della distruzione della sua abitazione eseguita due giorni fa dalle autorità comunali israeliane. Abu Fakri ieri era in giro, impegnato a sistemare la famiglia in un appartamento in affitto. La sua linea telefonica è rimasta occupata per ore. Ha avuto pochi secondi per i giornalisti. «Questa è la nostra vita a Gerusalemme – racconta – siamo soggetti a discriminazioni e abusi e quanto accade a Silwan ne è una dimostrazione evidente. Per questo se da un lato ringrazio gli americani, dall’altro, con amarezza, dico anche che il mondo resta a guardare, da troppo tempo». Mercoledì i bulldozer hanno ridotto in un cumulo di macerie anche l’abitazione della famiglia Rabah di Walaja, alla periferia di Gerusalemme est.

Fakri Abu Diab è un leader di Al Bustan, il rione di Silwan dove viveva fino a due giorni fa. Da anni è impegnato nella mobilitazione contro l’espulsione delle famiglie palestinesi da questa zona ad alta penetrazione del movimento dei coloni israeliani. Qui i palestinesi raramente riescono ad ottenere permessi edilizi dal comune e costruiscono «illegalmente» almeno di fronte alle leggi e disposizioni di un’autorità che, secondo il diritto internazionale, è di occupazione a Gerusalemme Est. Palestinesi e attivisti israeliani spiegano il rilascio con il contagocce dei permessi, per edificare nuove abitazioni o per ingrandire quelle esistenti, e le demolizioni delle case «illegali», come volto a spingere le famiglie arabe alla periferia estrema di Gerusalemme o a trasferirsi in Cisgiordania. «Non si leggano questa e tante altre demolizioni come vicende di abusivismo edilizio, piuttosto è in atto un preciso progetto politico» avverte lo studioso Jeff Halper, storico attivista della battaglia contro la distruzione delle case palestinesi a Gerusalemme. «Il motivo – aggiunge – è quello di allontanare i palestinesi dai luoghi desiderati dai coloni israeliani».

Silwan è un quartiere ambito dai coloni che, usando le leggi israeliane estese a Gerusalemme Est dopo l’occupazione nel 1967, affermano di voler rientrare in quelle case dove prima del 1948 vivevano famiglie ebraiche e oggi abitate da palestinesi. Un diritto che invece non è garantito a un palestinese al quale lo Stato di Israele ha confiscato le sue proprietà dopo il 1948. Silwan è anche al centro di un imponente progetto di «archeologica biblica», portato avanti sempre da associazioni legate alla destra e al movimento dei coloni, volto a far «riemergere» la cittadella di Re Davide che tremila anni fa avrebbe vissuto e governato proprio in quest’area. Una teoria che, peraltro, tanti studiosi e archeologici locali e stranieri contestano.

Abu Diab era in trattative per legalizzare la sua abitazione ma mercoledì mattina assieme alla sua famiglia si è svegliato con le urla di decine di agenti di polizia e con il suono cupo di un martello pneumatico fuori dalla porta di casa. Ancora in pigiama, ha avuto 15 minuti per portare via qualcosa. Subito dopo l’edificio è stato fatto a pezzi dal braccio meccanico di una ruspa. Era stato costruito all’inizio degli anni ’90, su una struttura più piccola che era lì da prima del 1967. La situazione è precipitata nel 2010, quando l’allora sindaco Nir Barkat annunciò un piano per demolire decine di abitazioni palestinesi «abusive» in modo da fare spazio al parco turistico-religioso Hamelech. Il progetto fu congelato per le proteste internazionali, in particolare dell’Amministrazione Obama. Da allora i residenti di Al Bustan hanno cercato di raggiungere accordi  con il comune per scongiurare le demolizioni e allo stesso tempo per ottenere una revisione del piano regolatore in una versione più protettiva dei diritti palestinesi.

Aver preso di mira in particolare Fakhri Abu Diab è stato un avvertimento preciso rivolto a tutte le altre famiglie a rischio di espulsione. Il comune segnala di voler attuare il suo piano secondo il quale Al Bustan e le aree adiacenti diventeranno un parco archeologico e solo il 20% sarà destinato ad abitazioni. Circa 100 case sono a rischio di demolizione.