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Democrazia industriale e rappresentanza

Democrazia industriale e rappresentanzaCalzaturificio. – LaPresse

Lavoro Sebbene nel dibattito pubblico questo tema venga spesso ricondotto alla rappresentanza dei lavoratori nei CdA delle grandi imprese, che in Italia, come sappiamo, sono poche, è opportuno ricordare che istituti di rappresentanza esistono anche a livello decentralizzato, come i Consigli del Lavoro

Pubblicato circa 2 anni faEdizione del 20 agosto 2022

Negli ultimi giorni i principali partiti di sinistra e centro-sinistra hanno pubblicato i loro programmi elettorali da cui emerge una nuova centralità data al lavoro. Tra le varie proposte vi è consonanza rispetto ad alcuni interventi come introduzione del salario minimo, rafforzamento del reddito di cittadinanza e lotta alla precarietà. Tali proposte, giustamente motivate dalla necessità di tutelare i lavoratori in un contesto di profonda riorganizzazione dei processi produttivi, sono una buona notizia.
Un tema, però, è sorprendentemente assente: l’estensione della democrazia industriale, vale a dire il coinvolgimento dei lavoratori nella gestione delle imprese.

Sebbene nel dibattito pubblico questo tema venga spesso ricondotto alla rappresentanza dei lavoratori nei CdA delle grandi imprese, che in Italia, come sappiamo, sono poche, è opportuno ricordare che istituti di rappresentanza esistono anche a livello decentralizzato, come i Consigli del Lavoro. In alcuni recenti studi che utilizzano dati italiani ed europei dimostriamo che, oltre ad essere uno strumento di redistribuzione dei risultati economici (che in Italia avviene prevalentemente attraverso la contrattazione di secondo livello), tali istituti possono svolgere un ruolo importante anche come meccanismo di governo dei processi di cambiamento.

Ciò per due ragioni: primo, le rappresentanze dei lavoratori, laddove dotate di adeguati diritti negoziali, favoriscono l’adozione di modelli organizzativi che premiano la qualità del lavoro, sia in termini di ridotta ripetitività e pesantezza delle mansioni che di gestione dei tempi di lavoro; secondo, gli istituti di rappresentanza non ritardano, ma anzi spesso agevolano, l’adeguamento tecnologico delle produzioni.

Con particolare riferimento all’automazione, ad esempio, favoriscono l’adozione di pratiche organizzative come la formazione dei dipendenti che sono complementari all’adozione delle nuove tecnologie.

Ovviamente, perché questi effetti positivi possano avere luogo è opportuno che gli istituti di rappresentanza siano dotati di un adeguato potere decisionale. A questo proposito la normativa Italiana, che riconosce diritti prevalentemente informativi e di consultazione, può essere migliorata. In Germania, ad esempio, i consigli del lavoro godono di espliciti diritti di cogestione in vari ambiti, tra cui l’introduzione di algoritmi di sorveglianza e monitoraggio dei lavoratori.

Data la rilevanza che questo tema ricopre nel presente dibattito sul futuro del lavoro, una riforma dei diritti di rappresentanza che si ispiri al modello tedesco sarebbe, a nostro avviso, più che mai opportuna. A ciò si associa il fatto che in Italia la diffusione degli istituti di rappresentanza nei luoghi di lavoro è ostacolata dalla peculiare demografia del nostro capitalismo, che vede una sovrabbondanza di micro imprese. Da questo punto di vista un rafforzamento della democrazia industriale che vada nella direzione da noi auspicata deve necessariamente essere parte di una più ampia strategia politica che miri a riformare la struttura del capitalismo italiano.

A nostro parere, i partiti che hanno a cuore la tutela dei lavoratori dovrebbero considerare questo tema, insieme agli altri che fanno già parte delle loro proposte elettorali, come parte integrante di una risposta organica alle sfide che attendono il lavoro nel prossimo futuro.

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