Non è bastata l’imbarazzata difesa del ministro Nordio in parlamento. Non è bastata la procura di Roma che prima ne aveva chiesto l’archiviazione e poi il proscioglimento. Non sono bastati i fiumi di parole spesi per giustificarlo sulle colonne dei giornali di destra e nei talk show. Il sottosegretario alla Giustizia Andrea Delmastro andrà a processo per rivelazione di segreto d’ufficio. Così ha deciso ieri mattina la gup di Roma Maddalena Cipriani.

LA STORIA riguarda uno degli spin off più assurdi del caso Cospito: era gennaio quando alla Camera il deputato di FdI Giovanni Donzelli accusò quattro esponenti del Pd di vicinanza alla mafia perché erano andati in carcere a visitare Alfredo Cospito, detenuto al 41 bis. Per sostenere questa tesi – di per sé priva di senso perché tra i doveri dei parlamentari c’è anche quello di verificare le condizioni di vita dei detenuti -, Donzelli aveva dato pubblica lettura di alcune conversazioni tra l’anarchico e alcuni boss detenuti con lui a Sassari, cioè con le uniche persone, guardie escluse, con cui ha la facoltà di scambiare due chiacchiere. Nello specifico si trattava di una relazione della polizia penitenziaria, materiale se non segreto quantomeno riservato. Del resto il 41 bis serve proprio a impedire comunicazioni dalle prigioni verso l’esterno: la divulgazione di quei dialoghi, dunque, è più o meno tutto quello che bisognerebbe evitare di fare se si ritiene sensato quel tipo di regime detentivo. Ma come aveva ottenuto Donzelli quelle informazioni? Gliele aveva passate il sottosegretario alla Giustizia con delega alle carceri, suo compagno di partito, nonché allora coinquilino, Delmastro, che poi è stato denunciato dal leader dei Verdi Angelo Bonelli.

COSÌ È COMINCIATO l’iter giudiziario con le indagini di rito, terminate poi a luglio con la procura di Roma che aveva chiesto l’archiviazione del fascicolo e la gip Emanuela Attura che dispose l’imputazione coatta del sottosegretario. All’udienza di ieri, infine, l’aggiunto Paolo Ielo è tornato a chiedere il non luogo a procedere per Delmastro, perché, nonostante l’innegabile «esistenza oggettiva della violazione del segreto amministrativo», ci sarebbe «l’assenza dell’elemento soggettivo del reato, determinata da errore su legge extrapenale». Una tesi che non ha convinto la giudice Cipriani, che ha rinviato a giudizio il sottosegretario e ha fissato l’inizio del processo al prossimo 12 marzo.

IL COLPO È FORTE e si riverbera sul governo. Nordio, infatti, tre settimane dopo l’imprudente uscita di Donzelli e l’immediato coinvolgimento di Delmastro nel pastrocchio, era andato alla Camera per dire che, a suo giudizio, quegli atti non erano segreti. La spiegazione è che sarebbe direttamente lui a decidere cosa si possa dire in pubblico e cosa no: «La classificazione della natura segreta, riservata, per legge appartiene all’autorità che forma il documento. Spetta al ministero definire la qualifica degli atti. E su questi abbiamo già risposto». Il fatto è che poi, quando alcuni parlamentari dell’opposizione domandarono l’accesso agli stessi atti, si videro rispondere di no da via Arenula, che consegnò solo tre pagine su un totale di cinquantaquattro: le stesse lette da Donzelli in aula. Una ricostruzione che non è stata presa per buona nemmeno dalla procura, che pure non ha mai ravvisato gli estremi per andare a processo. Ad ogni modo, Nordio sembrava essere molto convinto della sua tesi, paventando anche l’apertura di una problematica «che potrebbe e dovrebbe essere risolta in un’altra sede», ovvero aprendo un conflitto di attribuzione davanti alla Corte costituzionale. Fatto sta che, in attesa di capire quale sarà la reazione del governo, le opposizioni – con la scontata eccezione dei renziani e di Enrico Costa di Azione – stanno chiedendo in coro le dimissioni di Delmastro, mentre dalla maggioranza arrivano solo i soliti mugugni sulla «deriva giustizialista» dei non pochi perplessi.

IL PD, intanto, alla Camera chiede la calendarizzazione della mozione di sfiducia di Delmastro per bocca di Chiara Braga e al Senato invoca un’apparizione di Nordio a spiegare perché «volle coprire il sottosegretario», come dice Walter Verini. Il vicepremier Tajani, interrogato dai cronisti sul tema, prova a buttare la palla in tribuna: «Non devo commentare le decisioni dei magistrati. La procura ha fatto una richiesta e credevo fosse stata chiarita la vicenda. Preferisco parlare della riforma della giustizia». Peccato che questa vicenda sia, tra le altre cose, una prova dell’inutilità della separazione delle carriere: la procura e i giudici, infatti, hanno sostenuto due tesi opposte sul caso Delmastro, dimostrando che negli uffici giudiziari si può convivere anche valutando in maniera diversa la stessa vicenda.