Del conflitto in Palestina siamo la causa
I massacri di uomini, donne e bambini indifesi sono una ricorrenza nella storia. La civile Atene ha massacrato i Milesi (riducendo in schiavitù i superstiti). Il generale americano Custer ha mostrato nei confronti degli Indiani una crudeltà inimmaginabile, anche per gli standard militari, e un secolo dopo il suo fantasma è apparso a My Lai. Tuttora nelle guerre le uccisioni dei civili (bambini inclusi) e gli stupri delle donne sono considerati un danno collaterale accettabile, pur se per il diritto internazionale attuale sono crimini di guerra.
Lo sterminio degli Ebrei ha oltrepassato il limite estremo dell’umana ferocia e ha fatto vivere tra di noi il Male Assoluto: la «banalità del male» (Arendt), l’eliminazione «logistica», del tutto priva di sentimenti, dell’altro di sé, perché la diversità che ci abita (la nostra e degli altri) è diventata tensione ingestibile di cui sbarazzarsene. Di questo Male non ci siamo mai liberati. Un tumore non è stato sradicato e può tornare, sta tornando.
Fa parte della nostra storia la disumanizzazione: l’odio si dissocia dall’amore (la loro associazione è necessaria, ma vulnerabile) e agisce per conto suo sostituendo alla relazione di possesso reciproco la distruzione di ciò che si ama. Annientare l’oggetto desiderato (trattarlo come fonte di tensione da eliminare o sfruttarlo come strumento di sollievo, desogettivandolo), dà una carica adrenalinica potente e una possibilità di scarica altrettanto forte che subentrano all’orgasmo (un coinvolgimento emotivo profondo impegnante tutta la nostra materia psicocorporea, la più umanizzante delle esperienze). Il binomio eccitazione e scarica crea il piacere perverso nell’annientamento sadico dell’altro che sorregge il potere del più forte, del più spietato.
Nel lungo conflitto in Palestina il livello di ferocia e disprezzo per la vita umana mostrato da Hamas non era mai stato raggiunto da nessuna delle due parti.
Il terrorismo è cambiato da tempo. Non si uccide più per favorire l’avvento di un mondo ideale, un fine che giustificherebbe i mezzi, ma sotto la spinta di una morte psichica dell’uccisore che afferma il potere della distruzione sulla vita (i proclami coprono l’assenza di emozioni). Hamas e il regime iraniano, che uccide a sangue freddo le giovani che amano la vita, sono sistemi totalitari opprimenti i loro popoli, abitati in profondità dall’identificazione con la morte. Per sconfiggerli occorre disattivare il loro consenso.
Come ha risposto Israele all’orrore che l’ha colpito? Nel modo sconsigliato da tutti coloro che hanno a cuore la sua sorte: un assedio asfissiante con bombardamenti della striscia di Gaza che mette al repentaglio la vita dei civili (tra cui centinaia di migliaia di bambini). Il peggior governo nella storia del paese, apertamente antidemocratico e palesemente incapace, sta portando i suoi cittadini allo sbaraglio. L’accecamento non è dovuto all’odio, ma a un’assenza di ragionevolezza che si diffonde come macchia d’olio dappertutto. Israele è preso nella generale mancanza di lungimiranza e di lucidità che è diventata cultura di (non) vita. L’I.A. ha ingigantito l’eclissi dei sentimenti e delle emozioni che, avvertite come tensione, si scaricano con azioni folli, compulsive.
La nostra situazione è lacerante. Gli ebrei sono una parte di noi di cui ci siamo mutilati. Essa ci perseguita come un’«arto fantasma». Ogni loro ferita diventa una nostra angoscia. Ogni loro gesto inconsulto, è un nostro gesto.
Del conflitto in Palestina siamo la causa principale e il nostro modo distratto, algoritmizzato e compulsivo, di vivere (la desolazione delle relazioni e l’apatia verso il nostro destino e quelli degli altri, divenute paradigma mondiale) l’alimenta e lo strozza. A due popoli sofferenti e dilaniati nulla abbiamo da insegnare. Palestina non è una terra emotivamente lontana, è una terra di confine che da esiliati abitiamo. Ci siamo dentro fino al collo.
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