Def, si naviga a vista in attesa di buone nuove
Il Documento economico e finanziario (Def) e il Piano nazionale delle riforme (Pnr) per il 2018 sono lo specchio fedele dell’attuale dibattito europeo e nazionale. Si naviga a vista in […]
Il Documento economico e finanziario (Def) e il Piano nazionale delle riforme (Pnr) per il 2018 sono lo specchio fedele dell’attuale dibattito europeo e nazionale. Si naviga a vista in […]
Il Documento economico e finanziario (Def) e il Piano nazionale delle riforme (Pnr) per il 2018 sono lo specchio fedele dell’attuale dibattito europeo e nazionale. Si naviga a vista in attesa di buone nuove. Non mancherebbero le occasioni per disegnare delle politiche economiche adeguate per rilanciare l’Europa, almeno da un punto di vista politico, ma il coraggio non è di questi tempi.
Il 2017 per l’Unione europea è un anno fondamentale; il Def non manca di segnalarlo nel suo consueto e paludato linguaggio, ma lascia tutto in sospeso in attesa di chissà quale primavera. Si aspettano l’autunno e la discussione sul Fiscal Compact. Infatti, l’istruttoria dell’Ecofin per la revisione dei criteri di base ai quali è fissato il valore del deficit strutturale e il così detto Pil potenziale dovrebbe dare i primi risultati in autunno. Non sarà un appuntamento come tutti gli altri.
Se l’Ecofin conferma l’inidoneità dei criteri sottostanti il Fiscal Compact, cade proprio il Fiscal Compact come lo abbiamo conosciuto. Dopo 5 anni il Fiscal Compact doveva essere rivisto e valutato.
Se l’Ecofin modifica i criteri attuativi, nei fatti non diventerà diritto comunitario. Non è un caso, allora, che il Def e il Pnr siano «più o meno» e/o «vogliamo o possiamo». La politica economica diventa sostanzialmente l’attesa di buone nuove dal lato della crescita economica, difficile data l’attuale struttura produttiva nazionale e la dinamica dei salari (consumi) e degli investimenti (macchinari), e la speranza che altri assieme all’Italia convergano e/o condizionino l’esito dell’indagine dall’Ecofin.
Non mancano le conferme empiriche dell’inidoneità dell’austerità espansiva di antica memoria, ma purtroppo onnipresente nelle discussioni più o meno pubbliche – il Pd europeo, per esempio, ha sostenuto il Fiscal Compact -. La manovra correttiva del governo pari a 3,4-6 miliardi di euro, infatti, riduce la crescita del Pil, e il Def non manca di segnalarlo nelle tavole, ancorché sfugga nella comunicazione scritta. Alla fine, meno spesa pubblica, pari allo 0,2% del Pil, determina minore crescita per il 2017 e il 2018, e probabilmente sarà maggiore di quella segnalata nei documenti del governo.
Il Def è «più o meno» perché è difficile misurare la manovra per il 2018. La correzione dello 0,6% del deficit strutturale per il 2018 forse è vera, ma dipende dalle clausole di salvaguardia (quasi 20 miliardi di euro legati alle sciagurate politiche di Renzi) e dall’elasticità del Pil potenziale riconsiderato dall’Ecofin.
Nella migliore delle ipotesi la manovra correttiva potrebbe lambire i 10 miliardi, ma solo perché saranno introdotti, pur limitatamente, aumenti Iva e accise.
Potrebbe andare peggio se fossero toccate le tax expanditure (agevolazioni fiscali).
Servirebbe un ridisegno delle stesse, ma data la capacità del governo di «governare» la spesa pubblica, alla fine pensa solo a tagliare le risorse pubbliche e l’obiettivo è diventato «obiettivo» di bilancio, il rischio è di utilizzare le risorse «risparmiate» per garantire la riduzione delle imposte alle imprese già contabilizzate nelle proiezioni di finanza pubblica del governo.
Sarebbe particolarmente utile aprire la discussione sulla politica economica e rendere esplicita la discussione che l’Europa deve affrontare. Diversamente tutti possono dire tutto e il contrario di tutto.
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