Sono trascorsi poco meno di dieci anni dalla pubblicazione del romanzo Il cerchio, nel quale, corteggiando la fantascienza e la distopia, Dave Eggers raffigurava l’evoluzione e le vicende interne di un colosso dell’informatica, capace di assorbire e condurre a un punto di non ritorno i social network e la loro logica, raggiungendo una totale compenetrazione tra pubblico e privato, lavoro e attività sociali, esistenza fisica e virtuale. Tradotto in un film non memorabile nel 2017, Il cerchio, anche grazie all’estrema linearità della struttura e della trama, era stato salutato come un punto di svolta nella parabola di uno scrittore che, emerso sulla scena letteraria in qualità di erede del postmoderno e compagno di strada dei Wallace e dei Saunders, sarebbe finalmente approdato a un solido realismo e a una lingua asciutta, priva di compiacimenti.

Con The Every, pubblicato negli Stati Uniti lo scorso anno e ora proposto in Italia da Feltrinelli (traduzione molto efficace di Francesco Pacifico, pp. 542, euro 23,00) Eggers ci offre un secondo, turgido capitolo della sua distopia, immaginando che Il Cerchio si sia fuso con il più grande sito di e-commerce al mondo, La Giungla, e abbia dato vita a una nuova megasocietà il cui scopo ultimo è governare non tanto l’economia del pianeta, quanto le coscienze e i sentimenti di chi lo abita. La società in questione si chiama Every, il campus che la ospita non presenta particolari differenze rispetto a quello che abbiamo imparato a esplorare nel romanzo precedente, se non per la tendenza a irradiarsi verso l’esterno in modo ancora più aggressivo, senza trascurare alcuna attività o pulsione, nell’ansia non tanto di sottomettere, quanto di assorbire e neutralizzare.

Vittima e testimonial
Altro punto in comune tra i due romanzi è la scelta di una protagonista femminile: alla Mae Holland, che diventava al tempo stesso vittima e testimonial entusiasta del Cerchio, subentra Delaney Wells, che nel primo capitolo di The Every vediamo emergere «dal buio della metropolitana in un mondo di perfetta luce naturale» e fare a piedi «i cento metri verso il campus di Every». Delaney però, a differenza di Mae, ha uno scopo ben preciso: introdursi nel sistema perfetto di Every come un feroce bug informatico e demolirlo dall’interno, arrivando a colpire direttamente il CEO della società, vale a dire la stessa Mae Holland, il cui processo di integrazione nel Cerchio ha raggiunto l’apice.

Passando da un colloquio di lavoro all’altro, e incontrando una serie di personaggi tutti apparentemente felici, realizzati e a loro volta integrati, Delaney si avvicina sempre più al suo obiettivo, appoggiata e sollecitata ad agire senza pietà dal suo compagno e sodale Wes Makazian, programmatore di talento che ha deciso di vivere sconnesso dalla rete: ma a farla entrare in crisi è l’ingenuità e la sostanziale bontà delle persone che vivono e lavorano nel college, la sensazione sempre più netta che distruggerne le illusioni sia un atto malvagio, e che demolire The Every sia in fondo un’aspirazione minoritaria, coltivata solo da un pugno di drop-out.

Il dilemma morale sul quale si regge il romanzo è enunciato con chiarezza nella tesi di laurea che la stessa Delaney ha scritto per farsi accogliere all’interno del college, e che criticava le azioni antitrust avviate contro il Cerchio, antesignano di Every: «Aveva coniato il termine Benevolent Market Mastery, dominio benevolo del mercato, per la simbiosi senza soluzione di continuità che si instaurava tra azienda e cliente, un perfetto stato d’essere per il consumatore, dove tutti i desideri venivano presi in carico con efficienza e al prezzo più economico. Combattere una cosa del genere andava contro la volontà della gente, e se le autorità di controllo erano in disaccordo con quel che voleva la gente, che senso avevano?».

Il meglio è alle spalle
Questo passaggio è solo uno dei tanti in cui si mostrano i punti di forza del romanzo, che, più ancora forse del Cerchio, va letto non in chiave distopica, bensì realistica. Il mondo descritto da Eggers altro non è che una variante estremizzata della nostra quotidianità, come del resto suggerisce la nota con la quale si apre il libro: «Questa storia è ambientata nel futuro prossimo. Non cercate di capire quando. Ogni anacronismo di tempo e fisica è voluto. Tutti gli errori sul piano tecnologico, cronologico o di giudizio sono intenzionali ed esistono per fornirvi un servizio più completo». In altre parole, Eggers si diverte a raccontare un mondo che somiglia al nostro fino a divenirne la trasposizione iperrealistica, e raggiunge il proprio vertice inventivo nella descrizione delle tecniche con le quali il colosso The Every invade e colonizza le emozioni e i desideri.

Manca invece, qui come già nel Cerchio, la capacità di tratteggiare i personaggi, di renderne credibili le motivazioni, evitando di ridurli a funzioni o strumenti narrativi al servizio di una tesi. Se il protagonista (autobiografico) dell’Opera struggente di un formidabile genio, l’immigrato siriano di Zeitoun o l’inventore disoccupato Alan Clay di Ologramma per il re (forse le tre opere migliori di Eggers), erano dotati di uno spessore umano autentico e funzionavano da filtri ideali per contemplare le grandi ossessioni dell’America contemporanea – dal lutto familiare al terrore dell’alterità, alla crisi economica – la parata di personaggi che popola The Every svanisce quasi subito dalla memoria, senza lasciare segni.