Damasco bombarda un convoglio militare turco
Guerra siriana La battaglia tra governo e opposizioni islamiste si allarga al loro sponsor regionale, la Turchia: colpito un convoglio di sette carri armati e 25 veicoli che trasportavano truppe. Secondo Damasco dirette a dar man forte agli islamisti
Guerra siriana La battaglia tra governo e opposizioni islamiste si allarga al loro sponsor regionale, la Turchia: colpito un convoglio di sette carri armati e 25 veicoli che trasportavano truppe. Secondo Damasco dirette a dar man forte agli islamisti
Non c’è tregua che regga a Idlib. Ieri nella provincia nord-occidentale siriana si è ripetuto quanto accaduto esattamente due mesi fa, il 19 giugno, quando un missile siriano aveva colpito una base militare turca nel nord del paese.
Stavolta a essere colpito da un bombardamento aereo delle forze governative (alzando l’asticella della contraddizione politico-militare che è Idlib) è stato un convoglio di Ankara lungo l’autostrada che collega Aleppo a Damasco. Tre morti e dodici feriti, secondo il governo turco in quello che definisce un atto di aggressione.
Identica la versione damascena ma ribaltata: ad aver violato la sovranità siriana è stata la Turchia che ha fatto entrare dal valico di Bab al-Hawa, profondo nord-ovest siriano, un corposo convoglio militare scortato da una delle fazioni armate sponsorizzate da Ankara.
Un camion, sette carri armati e 25 veicoli con soldati e attrezzature militari e logistiche diretti a dare man forte – secondo la versione governativa – ai gruppi islamisti di opposizione a sud di Idlib, a Khan Sheikhoun, oggetto in questi giorni della controffensiva russo-siriana: ieri, per la prima volta dal 2014, le truppe di Damasco sono entrate nella città in mano a Hayat Tahrir al-Sham (l’ex al-Nusra) e ne avrebbero assunto il controllo.
Secondo Ankara, invece, i suoi soldati si stavano muovendo verso il posto di osservazione numero 9 a nord di Idlib, uno dei 12 impiantati dalla Turchia dopo l’invasione via terra del nord della Siria, nell’agosto 2016, e l’accordo stipulato lo scorso anno ad Astana con Russia e Iran sulle cosiddette «zone di de-escalation», mai realmente entrate in vigore.
Prosegue così la controffensiva lanciata a fine aprile da Mosca e Damasco contro l’ultimo pezzo di territorio ancora in mano alle opposizioni. Un’operazione che, secondo l’Onu, avrebbe provocato 500 morti tra i civili (oltre a 1.400 miliziani e 1.200 soldati governativi) e 400mila sfollati. Tra cui buona parte della popolazione di Khan Sheikhun: dei 100mila abitanti, molti dei quali sfollati da altre zone del paese, ne restano pochissimi.
Si fugge, per l’ennesima volta, verso nord per evitare la battaglia finale tra Damasco e islamisti, fatta di raid aerei da una parte e dall’altra di missili e kamikaze.
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