La tragedia del caporalato continua trasversale in tutto il paese. Nel meridione, a Taranto, la procura ha aperto un fascicolo d’inchiesta sulla morte del bracciante agricolo Rajwinder Sidhu Singh nei campi di Laterza. L’uomo, come Satnam Singh, apparteneva alla comunità Sikh e come Satnam e tante altre e altri è morto di lavoro, sui terreni agricoli sui quali si spaccava la schiena.

Era domenica 26 maggio quando Rajwinder Sidhu ha accusato un malore, «svenuto e trovato riverso nel campo» secondo il suo titolare Giovanni Giannico, attualmente accusato di omicidio colposo e caporalato. Ma sono tante le cose che non tornano nella versione dell’imprenditore agricolo, ricca di imprecisioni, rispetto a quanto riscontrato dal personale dell’ospedale San Pio di Castellaneta. Da qui sono partiti i dubbi, spingendo medici e infermieri ad allertare i carabinieri, e di conseguenza la procura, per provare a fare luce sulla vicenda. L’autopsia sul corpo del 38enne sembrerebbe confermare: qualcosa è andato diversamente quel giorno e le indagini, ora, potrebbero anche allargarsi coinvolgendo nuove persone. Dopo l’apertura del fascicolo, la segretaria territoriale della Flai Cgil Lucia La Penna, e il segretario territoriale Cgil Giovanni D’Arcangelo, hanno sollecitato il prefetto ionico Paola Dessì, richiedendo l’immediata convocazione di un tavolo di confronto. Tema di discussione un piano provinciale d’intervento a tutela dei lavoratori e dei servizi agricoli e di contrasto al caporalato.

A distanza di un mese dal decesso, lo scorso 26 giugno, la famiglia di Rajwinder Sidhu ha ottenuto il nullaosta per il trasferimento in India della salma, potendo celebrare i funerali e piangere il proprio caro, ennesima vittima di caporalato.

Anche alle latitudini settentrionali il quadro è abbastanza impietoso. Nel territorio delle Langhe la procura di Asti ha emesso un’ordinanza cautelare nei confronti di tre caporali, di nazionalità marocchina, macedone e albanese, per i reati di intermediazione illecita e sfruttamento del lavoro, oltre alle violazioni della norma sul soggiorno degli stranieri. L’indagine, partita a seguito di diverse denunce provenienti da associazioni per la tutela dei diritti dei lavoratori, potrebbe estendersi ora anche a quegli imprenditori agricoli che a questi caporali si rivolgono, alla ricerca di manovalanza a basso costo. Già, perché in quei territori nei cui vigneti si producono vini docg tra i più pregiati a livello nazionale e non solo – dal Moscato al Barbera e dal Nebbiolo e al Barolo – i lavoratori che protestavano per le condizioni di sfruttamento erano picchiati con mazze di ferro e, privi di vitto, alloggio e mezzi di trasporto, ammassati in grande numero dentro capannoni con scarsissime condizioni igieniche che erano comunque costretti a pagare. I lavoratori identificati, circa una cinquantina, venivano pagati dai tre ai cinque euro all’ora, con giornate lavorative interminabili dalle dieci alle sedici ore. «Le situazioni di sfruttamento e intermediazione di manodopera illecita fanno emergere una cornice squallida, già denunciata a seguito delle 9 misure cautelari del marzo scorso per caporalato – ricorda la segretaria generale Flai Cgil di Cuneo Loredana Sasia». Per la Cgil è necessario abrogare la Bossi Fini: «Una legge iniqua e dannosa che affonda le sue radici nella ricattabilità dei lavoratori. Solo il 20% di chi arriva con il decreto flussi ottiene un contratto di lavoro regolare, dov’è lo Stato per il resto dell’80%?».