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Dal Grande gioco alla guerra ucraina, duecento anni di russofobia britannica

Dal Grande gioco alla guerra ucraina, duecento anni di russofobia britannicaVolodymyr Zelenskyy all'aeroporto insieme a Rishi Sunak – Ap

Guerra ucraina Militari, diplomatici e avventurieri, la vasta letteratura dell’ossessione per l’Asia centrale

Pubblicato quasi 2 anni faEdizione del 9 febbraio 2023

Cogliendo il mondo di sorpresa, il presidente ucraino Zelensky è volato a Londra per incontrare il primo ministro britannico Rishi Sunak. Promesse di assistenza sempiterna, armi e addestramento, aiuti, e soprattutto una dichiarazione del premier conservatore: «Il nostro obiettivo è la vittoria militare dell’Ucraina» – e di conseguenza la sconfitta militare della Russia, di Vladimir Putin, delle sue 5.970 testate nucleari.

È lunga la storia della russofobia inglese. Esattamente 200 anni fa, infatti, tutta Londra leggeva On the Designs of Russia, un libro del colonnello George De Lacy Evans il quale sosteneva che un’armata di 30.000 uomini avrebbe potuto partire dal Mar Caspio, attraversare il deserto del Karakum fino a Khiva, risalire il fiume Oxus (oggi Amu Darya), arrivare a Bukhara e da lì a Kabul, in Afghanistan, minacciando l’India.

Nel suo libro successivo, On the Practicability of an Invasion of British India, pubblicato nel 1829, Evans dava indicazioni precise su come l’operazione avrebbe potuto svolgersi, ipotizzando perfino che le truppe dello zar avrebbero potuto “requisire i barconi da pesca usati dai nativi sul lago Aral”. Il ministro Lord Ellenborough si convinse che da Khiva, nell’odierno Uzbekistan, i russi avrebbero potuto arrivare a Kabul “in tre o quattro mesi”.
IN REALTÀ, QUALSIASI ARMATA si fosse avventurata nei deserti dell’Asia Centrale per poi cercare di valicare i passi dell’Hindu Kush, sulle orme di Alessandro Magno, si sarebbe sciolta come le nevi al sole primaverile ben prima di arrivare a Kabul, difesa dalla geografia prima che dalle innumerevoli tribù ostili che i russi avrebbero incontrato sul loro cammino. Il progetto, in effetti non fu mai preso seriamente in considerazione a Pietroburgo, al contrario di quanto avvenne a Londra dove un’invasione “preventiva” dell’Afghanistan fu effettivamente iniziata nel 1839.

Il seme dell’avventura afghana degli inglesi era stato gettato ben 22 anni prima da un pluridecorato generale inglese, Robert Wilson, che nel 1817 aveva pubblicato A Sketch of the Military and Political Power of Russia, un pamphlet di grande successo nel quale sosteneva che gli zar intendevano eseguire il presunto ordine pronunciato da Pietro il Grande sul letto di morte, nel 1725: “Conquistare il mondo”.

Il libro, ha scritto lo storico Peter Hopkirk, benché “basato in gran parte su presupposti erronei, diede origine a un dibattito destinato a protrarsi per oltre un secolo tanto sulla carta stampata quanto in Parlamento, circa ogni possibile mossa della Russia. (…) Lo spauracchio russo avrebbe avuto lunga vita”. E’ andata proprio così e il dibattito non è durato un solo secolo ma più di due, fino ai giorni nostri.
DOPO WILSON FU IL TURNO di David Urquhart, innamorato dei Circassi, i montanari che si opponevano alla penetrazione zarista nel Caucaso. Nel 1835 il diplomatico inglese pubblicò England and Russia e l’anno seguente organizzò in proprio una spedizione sulla costa del Mar Nero per provocare un incidente diplomatico tra Gran Bretagna e Russia ma il primo ministro Palmerston non ne volle sapere e richiamò in patria l’avventuriero.

Il Grande Gioco per la supremazia nell’Asia Centrale era però appena cominciato: nel 1838 un semplice tenente, Eldred Pottinger, in missione di sponaggio a Herat, al confine tra Afghanistan e Iran, divenne un eroe nazionale prendendo il comando della difesa della città dagli attacchi dello scià di Persia. Dopo un anno di assedio, le truppe persiane, rafforzate da consiglieri russi, si ritirarono, anche perché nel frattempo la flotta inglese si era impadronita dell’isola di Khark, nel Golfo Persico (oggi il terminale petrolifero dell’Iran) minacciando di invadere il paese dal mare. Lo scià fece rapidamente marcia indietro.
I TEMPI ERANO MATURI per l’invasione inglese dell’Afghanistan, con l’obiettivo di farne uno stato cuscinetto a protezione dell’India. Il Times scriveva: “Dalle frontiere d’Ungheria al cuore della Birmania (…) il demonio russo assilla e turba il genere umano e perpetra diligentemente le sue perfide frodi (…) a danno del nostro impero industrioso ed essenzialmente pacifico”. L’impero non c’è più ma il linguaggio, 185 anni dopo, è rimasto lo stesso.

L’invasione, dopo la spettacolare presa della fortezza di Ghazni, procedette per il meglio e nei primi giorni di luglio 1939 il generale John Keane installò a Kabul il nuovo re Shah Shujah. Il clima era eccellente, gli ufficiali fecero venire le famiglie dall’India e organizzarono concerti, tornei di cricket e corse di cavalli per distrarsi. Non poteva durare, e non durò.
NELL’AGOSTO 1841 POTTINGER, che grazie alla sua esperienza a Herat capiva la situazione sul terreno meglio dei suoi superiori, li avvertì che i capitribù preparavano un’insurrezione generale: l’aumento delle tasse e i successi galanti degli ufficiali inglesi con le donne afgane furono le scintille che fecero scoppiare la rivolta. Dopo l’uccisione di uno dei grandi protagonisti del Grande Gioco, Alexander Burnes, e qualche settimana di assedio dentro Kabul, il 6 gennaio 1842 iniziò la ritirata verso l’India di ciò che restava della guarnigione, seguita da migliaia di civili, sedicimila sventurati

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