Dal Forum di Roma il piano b, alternativo a quello del governo
Nel pieno dell’emergenza pandemica, il dibattito politico sulla sanità pubblica è stato a lungo schiacciato sullo scontro intorno all’obbligo vaccinale e al green pass. Queste diatribe anche molto aspre hanno messo in secondo piano le rivendicazioni sul diritto alla salute e a un servizio sanitario universale. Tanto è vero che l’unica iniziativa su questo piano è sembrata essere quella governativa contenuta nel Pnrr , con investimenti per l’ammodernamento degli ospedali e una riforma – parziale – della sanità territoriale. Per fortuna, ora che queste riforme stanno per entrare nel vivo, anche a sinistra si riprende la parola su come rifondare la sanità pubblica uscita a pezzi dalla crisi del Covid-19. Ne è testimonianza l’iniziativa del «Forum per il diritto alla salute» che si è tenuta a Roma nello scorso fine settimana e che ha visto incontrarsi realtà di tutta Italia, da Medicina Democratica ai vari comitati locali preesistenti o nati durante la pandemia. Senza dimenticare alcune forze parlamentari – dal Pd che ha delegato Sandra Zampa alle varie sigle della sinistra – che hanno voluto prestare ascolto a chi chiede una sanità migliore e più equa.
Il «Documento programmatico e costitutivo» licenziato dal Forum si presenta come una sorta di «piano B» rispetto al Pnrr, un progetto alternativo. Il «forum» muove dalla premessa secondo cui la natura universalistica disegnata nella legge che istituì il Servizio sanitario nazionale nel 1978 oggi sia stato aggirata. La legge stessa conteneva i germi che negli anni seguenti ne hanno corroso il significato: le «bombe a orologeria» degli articoli 25 e 26 che consentivano le convenzioni con il privato, a partire proprio dai medici di medicina generale (Mmg) «volute all’epoca dagli avversari della Riforma».
Negli anni questo disegno si è perfezionato, e ha condotto a una strisciante privatizzazione e aziendalizzazione. «Il blocco delle assunzioni nella Pubblica Amministrazione, più stringente per le Regioni in piano di rientro e commissariate, è stato regolarmente aggirato da un vero e proprio “falso in bilancio” tramutando le “spese per il personale” in “spese per l’acquisizione di beni e servizi” (che nascondono comunque l’acquisizione di manodopera)», spiega il documento. Il risultato è che la metà del fondo per il servizio sanitario nazionale è oggi destinato all’«accreditamento con il privato e le esternalizzazioni anche in settori strategici per l’assistenza» in ospedale e territoriale. «Per queste ragioni non basta più rivendicare maggiori finanziamenti nelle leggi di bilancio annuali perché questi finanziamenti vanno anche al privato fino al 50%, ma devono essere destinati solo al Ssn pubblico».
In questa «controriforma», le Regioni, sono chiamate a fare il «lavoro sporco: riducono e spremono il personale, tagliano e privatizzano i servizi, accorpano ed esternalizzano. Le liste d’attesa si allungano e i ticket aumentano». Senza nemmeno il bisogno di leggi nazionali, «troppo pericolose elettoralmente» perché grazie al federalismo sanitario si decide quasi tutto a livello regionale. Non va nascosto, per altro, che questo disegno incontra anche il favore degli strati più abbienti della società, disposi a pagare per servizi migliori ma privati.
Riportare la frammentazione di prestazioni sanitarie eterogenee per costi e qualità nel quadro di un unico servizio sanitario nazionale è dunque l’obiettivo primo per chi voglia difendere il diritto alla salute. E richiede «il passaggio alla dipendenza dei medici di famiglia, dei pediatri di libera scelta, degli specialisti ambulatoriali convenzionati e della continuità assistenziale». Tutte proposte che nel Pnrr semplicemente non ci sono.
Tuttavia, una vera riforma sanitaria non può attuarsi solo dal lato dell’offerta di servizi, si legge nelle tesi del «Forum», ma anche da quello della domanda di salute. E questo implica un maggiore investimento sul piano della prevenzione e una lotta serrata alla «medicalizzazione della risposta ai problemi sociali che alimenta il consumismo sanitario e la domanda di prestazioni incongrue». Così come è impossibile difendere il diritto alla salute rimanendo nell’ambito strettamente sanitario, senza cioè ripristinare la progressività del sistema fiscale e la riduzione delle spese militari.
Un vasto programma, che ovviamente richiede tappe e obiettivi di medio e lungo periodo. La prima sfida è «una revisione di priorità dal punto di vista della prevenzione e della cura» prestando ascolto ai bisogni di salute emergenti «come l’aumento della popolazione anziana e delle patologie multiple legate alla cronicità, i bisogni sanitari dei migranti, la frammentazione della rete familiare multigenerazionale, l’emergere di nuovi tipi di famiglia, l’aumento della povertà che porta soprattutto la popolazione fragile a rinunciare alle cure o a ricorrere ad alternative improprie».
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