Il ministero della Salute ha pubblicato ieri il rapporto di monitoraggio dei Livelli Essenziali di Assistenza (Lea), la «pagella» basata su 88 indicatori e attribuita a ogni Regione in materia sanitaria. I dati di ieri si riferiscono al 2021 e arrivano dunque con oltre un anno di ritardo. Anche se appare in generale miglioramento rispetto all’anno nero 2020, in cui la pandemia ha sconvolto l’organizzazione del servizio sanitario, il rapporto segnala diverse criticità e grandi differenze territoriali non tutte riconducibili al divario tra nord e sud.

TRA LE REGIONI «bocciate» in quanto non garantiscono i livelli essenziali in ogni settore ci sono Molise, Campania, Sicilia, Calabria e Sardegna, ma anche Val d’Aosta e Alto Adige. Promosse tutte le altre regioni, con un punteggio superiore alla sufficienza in tutte e tre le macro-aree valutate (prevenzione, distrettuale e ospedaliera). Nel complesso, l’assistenza sanitaria migliore in Italia è quella dell’Emilia-Romagna, unica a raggiungere un punteggio superiore a novanta su cento in ogni macroarea. Il fanalino di coda è rappresentato da Val D’Aosta e Calabria, che non conquistano la sufficienza in nessuna delle tre.

Esaminando i diversi settori, i dati confermano il peggioramento della salute mentale nei giovani, con un tasso di ricovero psichiatrico nei minori in aumento rispetto al 2019 in dodici regioni. Sale anche il tempo di attesa di un’ambulanza, che varia dai 30 minuti della Calabria ai 16 di Emilia-Romagna e Toscana. Sul piano della prevenzione, la soglia di copertura vaccinale di base del 95% raccomandata dall’Oms nei bambini di due anni è raggiunta solo in otto regioni su venti.

Incrociando i dati regionali con i singoli indicatori emerge un quadro ancora più frastagliato. Ad esempio, la percentuale di bambini vaccinati entro i due anni di età risulta superiore o vicina al 90% ovunque tranne che nella provincia di Bolzano, storica roccaforte No Vax, dove si ferma al 75%, venti punti sotto la raccomandazione Oms. Anche chi è in attesa di trapianto deve fare i conti con una situazione a macchia di leopardo: per un rene si aspetta in media poco più di due anni in Friuli-Venezia Giulia e oltre quattro in Puglia; per un fegato ci vogliono sette mesi nelle Marche e ventinove in Basilicata. In contro-tendenza il rilevamento delle infezioni post-chirurgiche, che si registrano in misura maggiore al nord: oltre il doppio della mediana nazionale in Emilia-Romagna e Veneto, vicine o sotto la mediana in tutte le regioni del Sud.

TRA LE PIEGHE del rapporto emergono anche numeri piuttosto sorprendenti. Il consumo di farmaci antidepressivi, ad esempio, raggiunge il massimo livello nella Toscana (cosiddetta) Felix, dove sfiora il doppio del valore mediano nazionale. In compenso, la Toscana è anche la regione in cui si effettua il minor numero di trattamenti sanitari obbligatori in proporzione alla popolazione dopo la Basilicata. In questa speciale classifica domina l’Umbria, che però è anche la seconda regione italiana per consumo di antidepressivi.

In parte, queste disuniformità dipendono dalle diverse pratiche mediche piuttosto che da oggettive differenze qualitative. La percentuale di ricoveri psichiatrici, ad esempio, è diversa anche in territori simili per composizione sociale. Il picco viene toccato nella provincia di Bolzano, dove è pari al doppio della media nazionale, e si abbassa al valore minimo (dopo la Campania) nel vicino Friuli-Venezia Giulia, dove è stato più forte l’impatto della riforma basagliana.

DIFFERENZE NOTEVOLI anche nella percentuale di parti cesarei, che per anni in Italia è stata troppo elevata rispetto agli standard internazionali. Mentre è tornata a livelli fisiologici pari al 15% in quasi tutto il Nord, tocca ancora il 35% negli ospedali di Liguria, Campania e Calabria.

LE CRITICITÀ RILEVATE nel monitoraggio dei Lea e il livello di spesa si riflettono, anche se in piccola parte, nel finanziamento che riceve ogni Regione dal governo centrale. Questo meccanismo premiale, che in teoria punta a uniformare verso l’alto il livello della prestazione sanitaria, è criticato tuttavia da molti analisti. Secondo una recente ricerca dell’Osservatorio dei conti pubblici italiani dell’Università Cattolica di Roma che ha analizzato i risultati dei Lea degli ultimi anni, i piani di rientro imposti alle Regioni che non rispettano i vincoli di spesa e i Lea rendono ancora più difficile il raggiungimento degli obiettivi, innescando un circolo vizioso. «Pur riconoscendo i miglioramenti, non si osserva una chiara convergenza delle Regioni in difficoltà ai risultati delle Regioni che offrono le prestazioni migliori» concludono gli autori dello studio Rossana Arcano, Ilaria Maroccia e Gilberto Turati. Con buona pace del servizio sanitario nazionale, ormai universale solo sulla carta.