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Curdi pronti a resistere alla Turchia guardano ad intese con Damasco

Curdi pronti a resistere alla Turchia guardano ad intese con Damasco

Siria Cresce la mobilitazione di civili e combattenti nel Rojava mentre la macchina militare di Erdogan è pronta ad entrare in azione. Intanto la leadership curda in cerca di alleanze lancia segnali concilianti al governo siriano.

Pubblicato circa 5 anni faEdizione del 9 ottobre 2019

«Siamo pronti a fare da scudi umani pur di impedire l’avanzata turca». Arin Sheikhmous, attivista di Qamishli, raccontava ieri ad Al Jazeera la mobilitazione di civili e combattenti nei centri abitati curdi dopo l’annuncio di Trump del ritiro delle truppe Usa dalla regione nordorientale della Siria. Centinaia di curdi si sono radunati davanti all’ufficio delle Nazioni Unite chiedendo protezione internazionale. Altri stanno organizzando sit-in nelle aree di confine con la Turchia e montano tende enormi a Ras al-Ain, Tal Abyad e Kobane dove troveranno posto persone di tutte le età. Nel Rojava è allarme rosso.

I primi cannoneggiamenti turchi sono cominciati nella notte tra lunedì e martedì e l’aviazione di Ankara ha colpito postazioni curde al valico di Semelka. La paura è forte tra i civili. Si sa già come è andata con le precedenti offensive turche: Scudo dell’Eufrate e Ramoscello d’ulivo. Non impressionano i toni bellicosi di Donald Trump che minaccia di «annientare l’economia turca» se le truppe di Ankara si macchieranno di massacri e devastazioni dopo il ritiro dei soldati Usa. Sono solo parole. Contro i curdi ci saranno anche i 14mila uomini dell’Esercito libero siriano (Els, ora chiamato “Esercito nazionale”), la milizia dell’opposizione siriana, addestrata dalla Turchia e sponsorizzata dal Qatar. «L’azione turca rappresenta una nuova speranza per il popolo siriano», ha commentato il portavoce dell’Els Yusuf Hammoud. Questa milizia, ben sostenuta in passato dall’Occidente, rimprovera a Trump di aver sospeso i finanziamenti nel 2017.

Erdogan sente di avere le mani libere. Trump ha abbandonato i curdi che usava contro l’Isis. L’Europa da un lato chiede una soluzione politica e dall’altro mostra comprensione per la «lotta terrorismo» della Turchia. Perciò la «zona di sicurezza» turca, profonda chilometri, in territorio siriano sta per diventare una realtà. Dopo il 2011 Ankara ha insistito per costituirla in modo da aiutare i “ribelli” siriani e colpire il presidente Bashar Assad. Ora, dopo aver promesso alla Russia alleata di Assad che non metterà a rischio «l’integrità territoriale della Siria», la userà per insediarvi almeno uno dei tre milioni di profughi siriani che la Turchia ospita nel suo territorio. E per sbaragliare la Fds, le Ypg e le altre forze curde che considera “terroriste” e per mettere fine ad ogni idea di federazione autonoma curda.

Tutti i segmenti della società nella regione del Rojava – curdi, arabi e siriaci – si oppongono all’offensiva turca che spaventa i civili. I leader curdi cercano alleanze, consapevoli che l’esercito avversario è molto forte. Il comandante delle Fds, Mazlum Abdi, ha detto al portale Rojava Network Broadcasting, che si sta valutando «una collaborazione con il presidente Assad, con l’obiettivo di combattere le forze turche». Damasco da parte sua invita i curdi a «tornare nell’abbraccio della patria siriana» per evitare di «sprofondare negli abissi». Intervistato dal quotidiano Al Watan, il viceministro degli esteri siriano Faysal al Miqdad si è rivolto ai leader curdi affermando: «Siamo pronti a difendere la nostra terra e il nostro popolo ma (i curdi) non devono abbandonarsi alla rovina». Damasco condanna la nuova probabile invasione del suo territorio settentrionale. Allo stesso tempo è forte dell’assicurazione ricevuta Mosca che Erdogan non cercherà di annettersi porzioni di Siria. «Gli analisti e i media occidentali sembrano non rendersi conto che quanto accade è assolutamente riconducibile al meccanismo di Astana» spiega al manifesto un alto funzionario delle Nazioni Unite che ha chiesto l’anonimato «Russia, Turchia e Iran hanno messo in piedi un processo che tiene conto degli interessi di tutti e tre i paesi e che, a conti fatti, è quello che ha prodotto in Siria fatti concreti sul terreno, a differenza della conferenza di Ginevra. Se c’è un comitato costituzionale in via di formazione in Siria, con rappresentanti del governo e delle opposizioni lo si deve ad Astana, non a Ginevra. E non è un caso che l’inviato speciale dell’Onu sia ora un osservatore quasi ufficiale di Astana».

All’interno di questo quadro i curdi non potranno far altro che rivolgersi a Damasco e cercare una soluzione concordata con il governo centrale sul futuro del Rojava e del nord est della Siria, ora che gli Stati uniti li hanno traditi e lasciati soli. Erdogan si accontenterà di una occupazione temporanea dei territori siriani lungo il confine? Pubblicamente Mosca e Tehran non approvano le mosse di Erdogan. Ma dietro le quinte le cose sono diverse. Vladimir Putin si mostra tranquillo e il presidente iraniano Rohani non si è stracciato le vesti per le intenzioni di Ankara. In realtà fatta la zona cuscinetto nessuno potrà fare previsioni sulle intenzioni di Erdogan.

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